L’errore,
in realtà, è ancora più grave. Non sono andato ad “un estero qualunque”. Ho
fatto tre ore di aereo e sono sbarcato a Stoccolma. Ho visto
una città civile e sono ancora sotto shock. Lì non
buttano i televisori guasti per strada. Non ci sono materassi dismessi sui
marciapiedi. Non ho visto lavatrici arrugginite lungo gli assi stradali. Non
c’erano cartacce, cicche, cartoni, supersantos negli alberi. Non c’erano
banchetti di sigarette, dvd falsi, mercanzia varia. Non c’era merce esposta per
strada che ti costringe a camminare tra le auto. Non c’erano auto parcheggiate
sui marciapiedi.
Non ho
visto un solo vigile urbano. Non ce n’era bisogno. Ho visto le piste ciclabili.
Quelle vere, non quelle disegnate.
E dentro
nemmeno una voce, un sussurro, un gridolino. Cinquanta persone sistemate,
ognuna al suo posto, in silenzio. Ho visto la
gente stare insieme senza disturbare gli altri. Ho visto le persone dirsi le
cose sussurrando, a bassa voce, senza sbracciarsi. Ho visto file ordinate e
pazienti. Ho visto tutti i tassisti col Pos, e tutti i negozi chiederti di
pagare con carta di credito, please. Ho visto un barista inseguirmi per darmi
lo scontrino. Ho visto una città quasi del tutto autosufficiente dal punto di
vista energetico, con fonti rinnovabili e alternative. Una città con i
riscaldamenti sempre accesi, e alimentati quasi per intero dalla
termodistruzione di 300mila tonnellate di rifiuti l’anno in centro, e niente
tumori o comitati popolari con il teschio sugli striscioni, con biomasse e
biogas usati anche per far viaggiare gli autobus.
Ho visto la
città più ecologica al mondo. Non ho visto cassonetti, netturbini, discariche,
isole ecologiche, depositi di ecoballe, e nemmeno orrende campane per la
differenziata. Non c’è bisogno. Si raccoglie palazzo per palazzo. Differenziare
conviene. Le imprese fanno a gara a comprare plastica, carta, vetro, e danno
molti soldi ai condomini, che vendendo i materiali si pagano i costi di
gestione. Gli
scarichi, per lo più, finiscono in enormi cisterne nel sottosuolo, dove vengono
trattati e poi riutilizzati come energia per cucine a gas. Quelli depurati e
limpidi alimentano il mare.
Ho visto
pannelli solari su ogni palazzo, in una città senza sole, ed enormi vetrate
senza tende, per raccogliere tutta la luce, e farne energia. Ho visto
recuperare l’acqua piovana e fare irrigazione anche solo per le piante di
finestra. Ho visto
ciascuno prendersi cura del suo tassello di interesse collettivo.
Ho visto una
città rilassata, pacifica, organizzata, mite. Ho visto un altrove dove le cose diventano
possibili.
Poi sono
tornato in Italia. Prima a Roma, assediato dai filippini che mi volevano
vendere un ombrello alla stazione Termini, dove l’autobus mi ha lasciato a
duecento metri dal terminal, che ho fatto sotto la pioggia, scivolando sui
sanpietrini sconnessi, schivando gli ambulanti, rischiando di finire sotto una
macchina perchè sono sceso dal marciapiede dov’era parcheggiata un’altra
macchina. Poi, a
notte quasi fonda, sono arrivato a Napoli. Ho preso un taxi. Ho tenuto gli
occhi chiusi. Sono salito a casa. Da quel
momento non sono più uscito. Non ho il
coraggio.
Ho solo
aperto la finestra, stamattina, e ho visto una donna chiedere, ad alta voce,
alla signora del primo piano, che vende le sigarette di contrabbando col panaro
dal balcone, tre pacchetti di “Mabboro” morbide. E lei rispondere, dalla
cucina, senza nemmeno affacciarsi, che le “Mabboro” non stavano arrivando più,
che ci stava la sfaccimma della finanza che stava rompendo ‘o cazzo al porto,
ma roba di due, tre giorni, e tutto si sistemava. Di più non
ho voluto sapere!!!
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källa: I
napoletani non dovrebbero viaggiare, by Antonio Menna