martedì 2 luglio 2013

Integrazione... o convivenza pacifica...?




Quando arrivai in Svezia avevo la senzazione che mi sarei integrato in poco tempo.Questo stato d`animo mi dava una specie d´ebbrezza come dopo aver preso “una sbornia” per intenderci.
Dopo qualche mese andai da un medico e capii tutte le sue indicazioni, la burocrazia non mi faceva paura ottenni il numero personale seduta stante (si dice così…?) Facevo la spesa dove la facevano gli svedesi e per bere un “svensk kaffe” andavo nelle kaffetterie. Insomma avevo capito le “loro” abitudini e potendomi esprimere in svedese con poche frasi basilari  mi sembrava sufficiente per sentirmi integrato in quel grande paesone che era Stoccolma a metà degli anni sessanta.

Dopo appena un anno dovetti ricredermi e capii che per noi tutti immigrati sarebbe stato inpossibile integrarsi completamente, perchè i nostril sogni, pensieri,incazzature, parole d´amore sarebbero sempre state in italiano. 
Potendo scegliere avrei sempre optato per il prociutto di Parma e spaghetti con pomodorini e basilico e mai per la "svensk skinka e johnson frestelse."

Non capii mai i loro giochi di parole (vitsar) con diverse sfumature (nyanser) ma sopratutto capii che non saremmo mai stati accettati pienamente dagli svedesi che ancora oggi guardano gli immigrati con sospetto.

A questo punto capii che non sarebbe servito a niente avere un diploma o una laurea. Certamente facilitò il processo iniziale ma non fu possible andare oltre questo primo stadio che non chiamerei nemmeno integrazione ma “convivenza pacifica” tra persone che si rispettano, anche se ognuno crederà sempre di essere superiore all`altro per il modo di interpretare la vita, per educazione ricevuta, per cultura,  arte e storia.

Non metto in dubbio che il matrimonio (o convivenza che sia) con con una/o svedese aiuta sicuramente, ma per tutta la vita si resterà comunque un diverso, nonostante l'amore incondizionato del partner. 

La lingua resterà un ostacolo insormontabile per la spontaneità dei sentimenti. 
Quando parliamo in svedese addirittura combiamo il nostro timbro di voce ed anche la gestualità è differente per le due lingue. In un filmato fatto al lavoro qualche anno fa stentai a riconoscermi.

Agli inizi questa realtà sarà dura da accettare per tutti, dopo capiremo che ”accettare”  è la nostra unica arma per poter vivere tranquillamente il resto della nostra vita in un paese così diverso dal nostro dove grazie a Dio molte cose funzionano meglio.

Unico neo sará sempre questa piccola spina piantata nel cuore che ci farà tanto male! E che lo vogliate o no non potremmo mai più togliere. Nemmeno tornando in Italia per colpa delle esperienze negative o positive  che avremmo fatto in questa terra le quali cambieranno totalmente il nostro modo di pensare, di agire, di vedere le cose tanto che non ci sentiremo mai più a casa nostra.


Perché gli italiani sono scontenti dell’Italia e degli italiani.



Leggo sul “Corriere” a firma prestigiosa di Arrigo Levi - “Il vizio nazionale dell'autoflagellazione” - la tendenza, che l’ottimo Levi biasima, dei connazionali all’autoflagellazione, anche perché secondo il giornalista « né i francesi né gli inglesi o i tedeschi, gli americani o i russi, parlano così male del loro Paese come noi italiani del nostro». In precedenza Levi aveva raccontato che, essendo stato al seguito di ben due Presidenti della Repubblica, aveva approntato per loro dei ricchi dossier e incontrato magistrati, sindaci e prefetti, vescovi e sindacalisti, concludendo: « Sono ancora convinto che io, e alcuni amici che hanno condiviso la mia stessa esperienza, abbiamo acquisito un'immagine dell'Italia più documentata di chiunque altro, scoprendo intatta la ricchezza di cultura, l'operosità e le doti civili delle nostre cento città».

Ora, io ritengo che il difetto stia proprio nel punto di osservazione prescelto. Dal punto di vista delle Eccellenze e delle Eminenze, degli stucchi e dei tappeti rossi - dove l’aria delle élite è tanto rarefatta da non avvertire i miasmi delle paludi in cui si combatte la minuta lotta per la vita-, difficile è avere il chiaro sentore di cosa è diventato per molti italiani, né complici né colpevoli dei vizi nazionali, il semplice tentativo di affermarsi secondo principi di correttezza e lealtà. Affermazione di sé costantemente avvilita e frustrata da una pletora di connazionali furbi e sleali spalleggiati da poteri talora semplicemente informali e talaltra del tutto inconfessabili. A questi livelli di lotta per la vita, più forte si respira il tanfo della corruzione dei costumi accumulatasi nel tempo che pervade ogni anfratto della vita sociale, politica e amministrativa, e alla cui alimentazione hanno sicuramente contribuito in egual misura certamente l’inerzia dei molti e la complicità di altrettanti.

La difficoltà di vivere a stretto contatto con connazionali furbi e sleali oltre ogni immaginazione ha tolto il respiro a molti, agli esclusi certamente sempre più numerosi, alle vittime di questo gioco al massacro diventato sempre più crudele man mano che le risorse economico-sociali si sono assottigliate, fino a sembrare l'intera vita collettiva uno sgomitare continuo da “assalto al forno” senza regole fuorché quelle dei gomiti piantati sui fianchi. Basterebbe segnalare al bravo giornalista Arrigo Levi quella pagina dell’altrettanto bravo Luigi Barzini ne “Gli italiani” (già nel 1965!) quando, dopo aver osservato molti comportamenti “all’italiana” commentava: « Forse per noi non c'è scampo. Ed è questa sensazione di essere in trappola entro i limiti inflessibili delle tendenze nazionali a far si che la vita italiana, sotto la sua superficie scintillante e vivace, abbia una qualità fondamentale di amarezza, disappunto, e infinita malinconia».

Källa: CassinaPD di Alfio.









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Sono andato, tornato, ripartito.

Sono andato, tornato, ripartito.
E così ora sono qui, in un’altra fase della Vita. Abito vicino al ponte Västerbron, a forma di arpa. E’ bellissimo. La mia gratitudine è a scoppio molto ritardato. Faccio in tempo a dimenticare gli atti, i nomi e i volti prima di aver capito quando dovessi ad ognuno.