venerdì 31 agosto 2012

Una storia di legno svedese



Questa storia parla di Svezia e di legno, ma non c’entra l’Ikea. Soprattutto perché l’altro grande protagonista della vicenda è il mare. Immaginate quindi un immenso veliero tirato in secca, costruiteci intorno un edificio che lo protegga dai rigori climatici, aggiungete un pizzico di efficienza e precisione e il risultato sarà il Vasamuseet a Stoccolma.
Questo museo è un hangar particolare, concepito per l’esposizione di una delle navi più grandi della storia. Un Titanic ante litteram nato per battere i record, ma che, come lo sfortunato transatlantico, fece naufragio nel viaggio inaugurale.
re Gustavo II Adolfo
Per calarci in questa vicenda dobbiamo tornare indietro di quattro secoli, all’inizio del 600. In quell’epoca le potenze, per forza di cose solo europee, erano altre rispetto a oggi. C’era ad esempio la Spagna, grande protagonista delle prime esplorazioni oltremare, c’era l’Olanda, da poco anche l’Inghilterra, che nessuno avrebbe più fermato per almeno altri trecento anni. E c’era anche la Svezia di re Gustavo II Adolfo..
 E per assicurarsi il dominio militare e commerciale, le potenze di allora dovevano prevalere nella marineria, come quelle del secolo scorso furono obbligate a eccellere prima nell’aeronautica e poi nella corsa allo spazio. La Svezia pensò quindi di mettere in cantiere una nave come non se ne erano mai viste prima: più grande, più bella, più veloce che portasse le insegne gialloblu dell’impero in giro per il mondo, e che soprattutto lanciasse un segnale chiaro agli odiati russi e polacchi
 Il veliero si sarebbe chiamato Vasa, come la casa regnante e lo stesso re Gustavo II Adolfo si rese protagonista della costruzione con continue assillanti richieste che fecero impazzire i progettisti. Il risultato fu sicuramente imponente: una nave con una murata altissima e un doppio ponte imbottito di cannoni. Ma questa imponenza nascondeva la debolezza che fu all’origine del disastro.
 Il Vasa era troppo alto per le sue dimensioni e di conseguenza aveva un baricentro instabile.
 Questo, nonostante i mastri di cantiere lo avessero già sospettato, si sarebbe tragicamente scoperto il giorno del battesimo. Il 10 agosto 1628 il Vasa issò le vele per il viaggio inaugurale poco al largo del porto di Stoccolma. Ma dopo poche miglia di percorso, una folata di vento lo fece inclinare da un lato. Anche se i timonieri riuscirono a raddrizzare la nave, una seconda raffica la inclinò nuovamente e l'acqua iniziò a entrare nello scafo attraverso i portelli dei cannoni.
Il veliero affondò molto rapidamente, adagiandosi su un fondale fangoso poco profondo. Il relitto, dopo il recupero immediato dei materiali più preziosi, venne praticamente dimenticato. Almeno fino al 1956, quando l’archeologo navale Anders Franzén pensò alla possibilità di recuperarlo e di far rivivere questa sfortunata e poco nota pagina della storia svedese. Con le tecnologie ben più moderne a disposizione e il fondamentale aiuto della marina militare, Franzén riuscì dapprima a localizzare il Vasa (persino il luogo preciso del naufragio era stato dimenticato) e poi a studiare un piano per riportarlo in superficie. E qui bisogna precisare che le particolari condizioni di temperatura, salinità e concentrazione di ossigeno del Mar Baltico, avevano consentito allo scafo di preservarsi perfettamente per quasi trecento anni.

L’abbandono definitivo dall’abbraccio del mare avvenne il 24 aprile del 1961. Dei presunti cinquanta morti nel disastro si ritrovarono presso il relitto solo 15 scheletri. Lunga è stata l’opera di restauro, per la quale si è potuto utilizzare in gran parte materiale originale che – come detto – si era ben conservato. Alla fine, l’imponente e poco gloriosa nave Vasa venne alloggiata nella sua nuova casa: il museo progettato da Göran Månsson e Marianne Dahlbäck, inaugurato nel 1990. All’interno il colpo d’occhio è fenomenale con un camminamento che corre a vari livelli intorno all’unico vascello del XVII Secolo ancora esistente. E fuori dal tetto si possono scorgere le estremità degli alberi che segnalano la struttura da lontano.
 
Anche la collocazione è suggestiva: il museo si trova infatti nei giardini di Djurgården, di fronte a quel mare che il Vasa per poco aveva solcato.






lunedì 27 agosto 2012

"Orgoglio" e "Italia" non sono parolacce di cui vergognarsi.


Che cosa significa essere italiani, oggi? Prima di tutto sentirsi italiani e contenti di esserlo. Il che non vuol dire churchillianamente, «sto con il mio Paese (o il mio popolo) giusto sbagliato che sia».

Significa non denigrarsi, attività che ci è molto congeniale, e essere coscienti che la nostra storia e la nostra cultura fanno di noi un popolo molto speciale, quali che siano i problemi che dobbiamo affrontare – oggi – come nazione e Stato. 
Significa capire che in molti Paesi dell’Occidente possono esserci realtà, politiche e sociali, migliori di quelle di cui disponiamo noi: ma questo non significa che ovunque, tutto, sia meglio che da noi, meglio di noi. Continuando con questa autodenigrazione, così provinciale, finiremmo per ridurci psicologicamente proprio come quegli extracomunitari che sognano di arrivare in un Paese «altro», quale che sia.

Autodenigrarci, sport nazionale, per le quotidiane miserie della cronaca e della politica significa avere sguardo da miope, e ignorare i secoli di storia che hanno fatto – fanno – di noi un grande popolo.

Da un articolo di Giordano Bruno Guerri


domenica 26 agosto 2012

Er cancelletto.



Un cancelletto verde su`na via
aperto fra du`muri smozzicati.
Venti, trenta... quant`anni so` passati
da quanno me ne annai da casa mia.
C'ereno papà e mamma, e l`ho lassati
giuranno che l'avrei riabbraccicati,
ma er giuramento mio fu`na bucìa.
E`na ferita che se fa de gelo,
mentre che l`occhi fissi ar paradiso
cercheno un cancelletto immezzo ar cèlo.
(vagabondo)

giovedì 23 agosto 2012

Sayonara Ericsson

Oggi:Sony Ericsson Mobile Communications ("Sony Mobile") ha annunciato che sta alterando la struttura operativa globale dei siti di sviluppo di Tokyo in Giappone, Lund in Svezia e Pechino in Cina. Nel mese di ottobre 2012, Sony mobile sposterà la sua sede centrale e alcune altre funzioni da Lund a Tokyo. Sony Mobile ha anche ridefinito i ruoli e le responsabilità di ciascun sito di sviluppo, importante per sfruttare i punti di forza di ciascun sito. Queste misure mirano a potenziare le capacità operative e di sviluppo di Sony, ottimizzare la gestione della catena di approvvigionamento e ottenere una maggiore integrazione all'interno di Sony.
"Sony ha identificato il business mobile come uno dei suoi core business e il portafoglio smartphone Xperia  continua a guadagnare slancio con i clienti e consumatori in tutto il mondo", ha detto Kunimasa Suzuki, Presidente e CEO di Sony Mobile. "Stiamo accelerando l'integrazione e la convergenza all'interno di Sony per continuare a rafforzare la nostra offerta, e una struttura operativa più mirata ed efficiente contribuirà a ridurre i costi [...]"

Per quanto riguarda i cambiamenti della struttura operativa, Sony mobile prevede di ridurre il proprio organico globale di circa il 15 per cento (circa 1000 persone, tra cui consulenti) entro la fine del mese di marzo 2014.  La società cerca di aumentare l'efficienza operativa, ridurre i costi e favorire una crescita redditizia.
källa: Engadget

In parole povere:
I tagli che riguarderanno circa mille posti di lavoro interesseranno le attività del gruppo giapponese in Svezia e saranno completati entro il 2014. Contemponeamente, la sede della ex joint venture verrà spostata dalla Svezia al Giappone.


I giorni perduti.


Questa notte voglio regalarvi questo racconto intitolato « i giorni perduti” è tratto da Le notti difficili, scritto da Dino Buzzati

Qualche giorno dopo aver preso possesso della sontuosa villa, Ernest Kazirra, rincasando, avvistò da lontano un uomo che con una cassa sulle spalle usciva da una porticina secondaria del muro di cinta e caricava la cassa su di un camion.

Non fece in tempo a raggiungerlo prima che fosse partito. Allora lo inseguì in auto. E il camion fece una lunga strada, fino all’estrema periferia della città, fermandosi sul ciglio di un vallone.

Kazirra scese dall’auto e andò a vedere. Lo sconosciuto scaricò la cassa dal camion e, fatti pochi passi, la scaraventò nel dirupo che era colmo di migliaia e migliaia di altre cassi uguali.

Si avvicinò all’uomo e gli chiese: –Ti ho visto portar fuori quella cassa dal mio parco. Cosa c’era dentro? E cosa sono tutte queste casse?
Quello lo guardò è sorrise: –Ne ho ancora sul camion, da buttare. Non sai? Sono i giorni.

–Che giorni?
–I giorni tuoi.
–I miei giorni?

–i tuoi giorni perduti. I giorni che hai perso. Li aspettavi, vero? Sono venuti. Che ne hai fatto? Guardali, intatti, ancora gonfi. E adesso?
Kazirra guardò. Formavano un mucchio immenso. Scese giù per la scarpata e ne aprì uno.
C’era dentro una strada d’autunno, e in fondo Graziella, la sua fidanzata, che se n’andava per sempre. E lui neppure la chiamava.
Ne aprì un secondo e c’era dentro una camera d’ospedale, e sul letto suo fratello Giosuè che stava male e lo aspettava. Ma lui era in giro per affari.
Ne aprì un terzo. Al cancelletto della vecchia misera casa stava Duk, il fedele mastino, che lo aspettava da due anni, ridotto pelle e ossa. E lui non si sognava di tornare.
Si sentì prendere da una certa cosa qui, alla bocca dello stomaco. Lo scaricatore stava dritto sul ciglio del vallone, immobile come un giustiziere.

–Signore! – gridò Kazirra. –Mi ascolti. Lasci che mi porti via almeno questi tre giorni. La supplico. Almeno questi tre. Io sono ricco. Le darò tutto quello che vuole.

Lo scaricatore fece un gesto con la destra, come per indicare un punto irraggiungibile, come per dire che era troppo tardi e che nessun rimedio era più possibile. Poi svanì nell’aria, e all’istante scomparve anche il gigantesco cumulo delle casse misteriose. 
E l’ombra della notte scendeva.

Attenzione

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Sono andato, tornato, ripartito.

Sono andato, tornato, ripartito.
E così ora sono qui, in un’altra fase della Vita. Abito vicino al ponte Västerbron, a forma di arpa. E’ bellissimo. La mia gratitudine è a scoppio molto ritardato. Faccio in tempo a dimenticare gli atti, i nomi e i volti prima di aver capito quando dovessi ad ognuno.