lunedì 12 maggio 2014

C’è emigrato e emigrato, ma perché vergognarsi della propria terra?


Il fenomeno dell’emigrazione dal Sud è un problema che ben conosciamo, ma quando gli emigrati tornano a casa per le feste è possibile assistere a scene raccapriccianti…

Chi nel Mezzogiorno non ha mai avuto a che fare con il fenomeno dell’emigrazione, più o meno direttamente? Tra emigrati e parenti o amici di emigrati, la diffusione capillare del fenomeno è indiscutibile.

Andare fuori, lontano dalla propria terra, comporta rischi e sacrifici: c’è chi, come gli sventurati delle miniere di carbone in Belgio, ha perso la vita per coronare il sogno, tra l’altro normalissimo, di garantire alla propria famiglia una vita normale. Non solo i poveri: a scappare sono anche gli omosessuali che vivono l’oppressione di una mentalità chiusa verso gli orientamenti sessuali “non in linea” con la “norma” perché, ricordiamolo, il Sud avrà pure cibo, temperature e paesaggi stupendi, ma ha anche tantissimi problemi.


Il fenomeno nel tempo si è evoluto e ora, con la crisi economica, i giovani meridionali stanno seguendo nuovamente le orme dei loro antenati, spopolando città e paesi del Sud per studiare o per lavorare altrove. Per fortuna le cose sono cambiate e gli “emigranti 2.0″ possono considerarsi più fortunati di chi li ha preceduti in passato: i mezzi di trasporto sono diventati più efficienti e più abbordabili per viaggiare (aerei, treni moderni) e l’opportunità di parlare comodamente con amici e parenti da lontano (videochiamate, messaggistica istantanea) permette di mantenere i contatti e sentirsi vicini.
“Ma che l’hai scritto a fare questo articolo” – direbbe qualcuno – “questa è roba trita e ritrita che conosciamo già”. Tranquilli, questa è solo l’introduzione.

Questo, ossia il periodo a cavallo tra Natale e Capodanno, è il periodo in cui le due realtà – emigrati e le loro famiglie rimaste nel Mezzogiorno – si incontrano. Aerei, treni, navi e macchine si riempiono, migliaia e migliaia di persone tornano a casa per passare le vacanze con parenti e amici, e inizia il confronto social-ideologico tra le due parti. Chi va fuori cambia, cambia nel carattere, negli atteggiamenti, nella mentalità e cambia anche nell’accento: che lo faccia in meglio o peggio non importa in questa sede, quello che conta sono le parole che gli emigrati rivolgono a coloro che, per i motivi più disparati, non sono andati a vivere altrove.

E’ proprio nel periodo dei grandi ritorni e delle rimpatriate che emergono alcuni dei comportamenti più irrazionali e vergognosi dell’Italia dei nostri giorni. Queste sono esperienze personali, non credo siano indicative della situazione generale perché come qualcuno mi ha fatto notare è meglio non generalizzare – non interpretatele come uno sfogo ma come il volere di raccontarvi le differenze tra alcuni tipi di emigrati e altri. Ecco che inizia la carrellata di perle da emigrante:
- C’è chi studia all’Uninord e ritorna per criticare chi studia all’Unisud, ostentando fino alla nausea una superiorità che è tutta da verificare. Guarda che bravura e preparazione contano di più.
- C’è chi gode come un riccio [cit.] quando il proprio comune rischia di andare in dissesto ed essere commissariato. Già che ci sei, dato che odi così tanto la città che ti ha dato i natali, perché non crei una bomba atomica fai da te e concludi l’opera?
- C’è chi ritorna e dice “voi del Sud…” come se a parlare fosse uno straniero. Sveglia! Questa è la tua vera casa, ma credi di essere il risultato di un processo di metamorfosi? Da bruco meridionale a farfalla emigrata?
- C’è chi parla sforzandosi di avere un accento il più diverso possibile da quello dei membri della sua stessa famiglia, e critica ogni pronuncia che non rispecchia l’italiano a suo dire “corretto”. Lo sai che dove vivi c’è un accento caratteristico e che quindi neanche il tuo di italiano è da considerarsi “perfetto”?
- C’è chi definisce amici e parenti “terroni” e se ne va promettendo di non tornare mai più, perché la sua vera casa è altrove, perché ha trovato una ragazza facoltosa e non sente il bisogno di sporcarsi le scarpe ritornando nel posto dove è nato e cresciuto. Ciao compare, ti regalerò una bandana con disegnata una svastica.
- C’è chi critica la sua terra natia ma né quando è lontano né quando ritorna a “casa” (se così possiamo definirla…) si impegna per fare qualcosa. Ammettilo, non dei diverso/a dagli italioti che critichi.
- C’è chi si vergogna di avere scritto sul proprio documento di riconoscimento “nato/a a “. Ma non ti fai schifo?

Non sono solo i leghisti più estremisti a pensare ciò, ma anche molti meridionali emigrati.

Tutta questa falsità, tutta questa ipocrisia sembra concentrarsi in alcuni stranieri in patria, ossia gli emigrati che non hanno lasciato i confini nazionali e hanno deciso di andare a vivere a Milano, Torino, Venezia, etc. Alcuni di loro, non tutti per fortuna, hanno un serio complesso di inferiorità quando sono lontani e un complesso di superiorità quando sono a casa per le feste.
Ma gli emigrati si comportano tutti allo stesso modo quando ritornano qui? Per fortuna no, e andando negli Stati Uniti ho potuto conoscere meridionali che hanno creato veri e propri imperi finanziari senza dimenticare le proprie origini. E’ proprio da un italoamericano di origine calabrese che ho sentito parole che a mio avviso sarebbero da riscrivere e incorniciare. Alla faccia di chi si vergogna della propria terra, c’è gente che pur riconoscendo i difetti e i problemi del Sud, dopo aver trovato la fortuna dall’altra parte dell’Oceano Atlantico, mai e poi mai si sognerebbe di comportarsi come molti “colleghi” emigranti che hanno scelto il Nord Italia, e non si limita a questo: ribadisce, infatti, che il legame con la propria terra è un elemento imprescindibile del suo modo di essere ed è destinato a portare quel sentimento sempre con sé fino alla fine dei suoi giorni. Il self made man in questione, per il semplice fatto di aver detto queste stesse cose ai suoi compaesani in Calabria, nel vibonese, è stato invitato a pranzo da uno sconosciuto, attirato dalle belle parole e contento di aver incontrato un emigrato che “quando torna qui non si comporta come quelli che sono andati a vivere a Milano”.

Sempre negli Stati Uniti ho potuto parlare con giovani italoamericani che hanno studiato a Yale (ottava tra le università migliori del mondo secondo topuniverisites.com) e alla Columbia University (quattordicesimo posto su scala mondiale) e parlano con noi “poveri mortali” che studiamo in Italia senza fare gli sboroni, mentre l’atteggiamento di una mia conoscente meridionale che studia al Politecnico di Milano (duecentotrentesimo posto nella stessa classifica) è paragonabile a quello di uno studente del quinto superiore che si ritrova catapultato in seconda media. E’ grazie a queste piccole cose che capisci che il problema non è il Sud ma la mentalità italiana nel suo complesso che ancora non è riuscita ad andare oltre i pregiudizi sui “terroni” e i “polentoni”, e te lo fa notare soprattutto quando interagisci con la categoria intermedia, quella dei “terroni polentonizzati”. Negli Stati Uniti, dove gli italoamericani di origine meridionale sono molto più ricchi e benestanti dei meridionali che vivono nel Nord Italia, e che quindi avrebbero millemila motivi in più per criticare la loro terra e chi ci vive, l’atteggiamento è completamente diverso e la cosa ha dell’incredibile.

by:Francesco D’Amico

E’ strano, veramente molto strano fare un viaggio di 14.000 km per comprendere meglio il proprio paese, chi ci vive e allo stesso tempo imparare a rispondere di pari tono ai signori che sono nati Esposito e vogliono morire Brambilla. Vergognarsi della propria terra natia è stupido, ricordatelo.







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Sono andato, tornato, ripartito.

Sono andato, tornato, ripartito.
E così ora sono qui, in un’altra fase della Vita. Abito vicino al ponte Västerbron, a forma di arpa. E’ bellissimo. La mia gratitudine è a scoppio molto ritardato. Faccio in tempo a dimenticare gli atti, i nomi e i volti prima di aver capito quando dovessi ad ognuno.