giovedì 25 novembre 2010

Cartolina da Napoli...!


Una gita veloce a Napoli, in una città relativamente povera e con un'economia fragile, ma questo non vuol dire che non abbia conosciuto un suo sviluppo. Pertanto, è una città che consuma il necessario per vivere, nonché il superfluo, e produce in misura proporzionale spazzatura. Del resto, i rifiuti sono il prodotto collaterale del benessere, il rovescio dello sviluppo economico e tecnologico. Si moltiplicano i beni di consumo, ma anche i prodotti di scarto.

Conseguentemente, cumuli di sostanze sgradevoli e nocive si accrescono e non si sa dove disseminarle. Se poi volessimo andare ancora più a fondo, allora troveremmo un mal digerito senso della democrazia e, prima ancora, una maturità civile che forse non è mai arrivata. La responsabilità di quello che succede è, infatti, collettiva e insieme individuale.
E' collettiva per l'uso distorto della democrazia che si è fatto nel loro contesto sociale e politico. I rifiuti evidenziano, sotto questo aspetto, una gestione viziosa della cosa pubblica, in quanto mirano, e hanno mirato, a perseguire il vantaggio proprio o del proprio gruppo a scapito di quello della collettività.

Certamente la responsabilità è anche individuale, per via di quella diffusa mentalità che li porta ad aspettare la soluzione dei problemi da parte delle autorità, senza che si faccino carico delle loro personali responsabilità, rimboccandosi le maniche e dandosi da fare. E poi, le autorità sono l'immagine speculare di quello che sono o che, almeno, siano in grado di esprimere a livello politico.

I rifiuti evidenziano allora un più profondo e radicato disordine morale. Esso è quello di una società in cui non solo le contraddizioni esplodono, ma anche i rapporti umani si incrinano. La loro è una società sfrangiata, dove non c'è più ombra di bene comune. Nessuno, infatti, vuole la monnezza. Ognuno la dirotta sotto la casa dell'altro o nel comune vicino o nella provincia vicina con furbizia malevola. Manca il senso della condivisione, perché manca la solidarietà.

Napoli era una città affollata di diseredati in cui l'emarginazione e la miseria erano pesanti. Ma nei vicoli brulicanti di gente, ricchi di voci e di risonanze, c'era un palcoscenico naturale all'aperto, una fucina di genialità e creatività.
Innanzitutto, c'era una grande capacità di sorridere alla vita, che si esprimeva o nell'arte di arrangiarsi, inventandosi mille modi diversi di sbarcario il lunario, o nell'allegria, che faceva parte, a torto o a ragione, dello stereotipo del napoletano. C'era l'estroversione tipica o, se preferite, la teatralità, quella stessa che ha prodotto autentici geni come Eduardo e Totò, e unitamente un'emotività incontenibile, vulcanica. C'era pure, per chi non si ferma al folklore, un diffuso senso di solidarietà, una capacità di accoglienza che superava con generosità quasi istintiva differenze e pregiudizi. Era il grande cuore dei Napoletani!

Nella città moderna, disordinata e frenetica, tutto questo pare non esserci più. Prevale, piuttosto, un modo cupo di guardare all'esistenza, rassegnato e stanco. Quanto ai rapporti umani, essi sembrano inquinati dalla furbizia e dalla prevaricazione, per cui la diffidenza ha preso il posto della confidenza, la chiusura nel proprio dell'apertura e dell'attenzione verso l'altro.

Oggi si corre, a Napoli come altrove, con la complicazione della rete stradale inadeguata e del traffico sempre caotico. Ma si corre anche perché non si ha tempo per gli altri, né, tanto meno, per fermarsi a contemplare il sole e il mare.

Esasperati, depressi e sfiduciati, sono diventati aggressivi e arrabbiati, polemici a tempo perso, scontenti sempre. Tutto si poteva dire un tempo dei Napoletani, tranne che non fossero simpatici. Oggi, sono diventati senz'altro antipatici!

(vagabondo)

Attenzione

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Sono andato, tornato, ripartito.

Sono andato, tornato, ripartito.
E così ora sono qui, in un’altra fase della Vita. Abito vicino al ponte Västerbron, a forma di arpa. E’ bellissimo. La mia gratitudine è a scoppio molto ritardato. Faccio in tempo a dimenticare gli atti, i nomi e i volti prima di aver capito quando dovessi ad ognuno.