sabato 14 maggio 2016

Anna Maria Corazza. Un´ Italiana di Stoccolma

Anna Maria Corazza Bild

«Amo la Svezia, ma sono italiana e lo rivendico». Anna Maria Corazza è un'europarlamentare svedese del Partito Moderato, ma è nata in Italia, a Roma, da famiglia emiliana. «Ho vissuto tre vite: imprenditrice nel settore enogastronomico, operatrice umanitaria per l'Onu nei Balcani e parlamentare europea. Ho ricominciato da capo più volte, ma le mie tre anime ora sono appagate da ciò che faccio». L'onorevole Corazza ha sposato nel 1998 Carl Bildt, ex primo ministro svedese, e nel 2009 ha scelto di candidarsi al parlamento europeo, ottenendo la bellezza di 85.000 preferenze. «Il partito non mi voleva, non mi sosteneva. Credeva che il ruolo di mio marito e il fatto che non avessi mai fatto politica attiva, fossero degli handicap. Grazie alla mia italianità ho vinto», racconta con voce ferma e gentile a chi le chiede con stupore come un'italiana possa raccogliere così tante preferenze in un Paese così distante - non solo geograficamente - dal nostro. L'abbiamo intercettata mentre si trovava proprio in Italia, per la precisione al Castello di Tabiano, sulle colline di Parma, dove la sua famiglia risiede da sei generazioni, dove si producono vino e Parmigiano Reggiano; è un luogo del patrimonio storico nazionale dove tra l'altro si tiene ogni anno l'International Arabian Women Forum, scelto dalla Maserati per il recentissimo lancio globale della nuova «Levanto».
Anna Maria Corazza con il marito Carl Bildt, ex primo ministro svedese.
Onorevole, lei è una europeista convinta: non crede che il progetto europeo oggi sia in crisi?
«Tutt'altro. Credo invece che, oggi più che mai, ci sia bisogno di più Europa. La crisi dei rifugiati, il terrorismo, il rischio Brexit, l'ascesa dei nazionalismi: sono questioni che richiedono risposte comuni e coesione tra Stati Membri. L'Europa è nata sulle ceneri di una grande guerra e le grandi crisi sono state un'opportunità di crescita e consolidamento. Sarà così anche questa volta, non c'è alternativa».

L'incapacità di gestire I flussi migratori e la minaccia del terrorismo stanno frantumando Schengen e la libera circolazione: c'è chi alza I muri e chi, come la Svezia, dopo decenni di "porte aperte", ha ceduto di fronte ad un flusso che pare inarrestabile. Come si esce da questa crisi?
«Quella dei muri non è Europa. Sono Stati membri che violano i Trattati. I Paesi che hanno reintrodotto i controlli, invece, lo fanno rispettando le regole, ma solo se per un periodo di tempo limitato. I Trattati lo prevedono. Il problema è che non si può pensare di abbandonare il principio della libera circolazione: è un pilastro fondamentale della costruzione europea e non si può tornare indietro. Sarebbe gravissimo. Schengen significa ricchezza, posti di lavoro, crescita, competitività. Abolirlo significherebbe affrontare dei costi enormi per la circolazione delle merci, oltre che disagi per i cittadini europei».

Cosa pensa della decisione austriaca di ripristinare I controlli al Brennero?
«Mi preoccupa moltissimo. La soluzione alla crisi che stiamo vivendo non sono né i muri né i controlli alle frontiere. Bisogna rispettare le regole che già esistono e attuare le decisioni del parlamento europeo, affrontando tutto in un'ottica comunitaria. Bruxelles può fare tanto, ma se gli Stati non collaborano è inutile».

Cosa dovrebbero accettare I singoli Stati?
«Intanto un meccanismo non volontario, ma obbligatorio per la redistribuzione e l'accoglienza dei migranti. Poi un controllo europeo delle frontiere esterne e l'identificazione dei profughi che hanno diritto di essere accolti fatta direttamente nei campi delle Nazioni Unite per evitare quei viaggi della speranza che costano la vita a migliaia di esseri umani. Infine serve un sistema di rimpatri rapido ed efficace. I migranti economici non possono restare in Europa: non possiamo risolvere tutti i problemi del mondo, non siamo in grado. Ma abbiamo il dovere di salvare tutti coloro che possiamo salvare ed evitare altre stragi nel Mediterraneo».

A proposito, lei ha avuto la possibilità di visitare Lampedusa…
«Si, ho guidato la delegazione del Parlamento europeo. È stata un'esperienza indimenticabile. Penso all'efficienza della nostra Marina militare, all'umanità della popolazione di Lampedusa, dei volontari, dei nostri militari che hanno un cuore più grande di qualsiasi organizzazione umanitaria... ecco, se penso a loro, sono fiera di essere italiana. E penso ai tanti bambini che ho visto...»

Sono i piccoli i più esposti ai mali del mondo «dei grandi»: è così?
«Sono facili prede della criminalità organizzata e ogni anno sono decine di migliaia i bambini stranieri non accompagnati che spariscono nel nulla. Bisogna lavorare per registrarli ed identificarli appena arrivano, così da farli entrare nel sistema di protezione».

Porte aperte indiscriminatamente ha significato anche aggressioni sessuali alle donne, come accaduto a Colonia e in altre città europee a Capodanno. Cosa possono fare le istituzioni?
«Sono crimini inaccettabili che vanno perseguiti e puniti con severità. Gli immigrati che vengono in Europa hanno diritti, ma anche doveri e una presunta diversità culturale non può giustificare violenze e violazioni della legge. Ma attenzione a non demonizzare tutti i rifugiati, sarebbe un errore».

Esiste un problema che riguarda l'integrazione e, più un generale, il rapporto di alcune culture con le donne?
«Si, e va affrontato con la cultura e l'educazione. La scuola è uno strumento potente per facilitare l'integrazione».

La «sua» Svezia può essere considerata un modello nell'accoglienza e per l'integrazione. Come ci riuscite?
«Il budget che mettiamo a disposizione per questo è superiore a quello della Difesa. I bambini non accompagnati, per esempio, hanno diritto alla scuola, all'alloggio, al cibo. E si tratta di minori che hanno viaggiato per mesi, traumatizzati, vittime di soprusi e violenze. Grazie al nostro sistema avranno la possibilità di costruirsi un futuro e diventare cittadini del nostro Paese».

Il Papa è volato sull'isola di Lesbo, ad accogliere I migranti, I bambini senza nulla… Che impressione le ha fatto?
«Quando ho visto quelle immagini avevo le lacrime agli occhi. Con la sua semplicità ha rimesso al centro la persona, l'essere umano. E davanti a noi abbiamo visto non più numeri, ma persone. E bambini innocenti. È stato un gesto straordinario».
A proposito di bambini, il "modello svedese" è considerato il migliore dal punto di vista del welfare famgliare. Come ci siete riusciti?
«Da noi tutti i bambini hanno diritto ad un posto all'asilo e questo avviene, ovviamente, indipendentemente dal reddito delle famiglie. Poi c'è il congedo parentale obbligatorio e anche i padri possono prendersi due mesi per assistere il nuovo arrivato, dare una mano. Ciascuno nelle famiglie deve dare il suo contributo e la legge può favorire questo principio. Le leggi possono contribuire a cambiare la cultura».

Un'ultima domanda. Cosa pensa quando legge che la Gran Bretagna potrebbe uscire dall'Ue, della cosiddetta «Brexit»?
«Mi preoccupo moltissimo. La disgregazione dell'Europa è il rischio più grande che corriamo oggi. Senza Gran Bretagna, l'Unione si indebolirebbe, l'unità e la coesione tra gli Stati sarebbe compromessa e non avremmo la forza per contrastare le minacce globali che ci assediano: crisi economica, immigrazione, terrorismo.
Speriamo non accada, ma sono fiduciosa che non sarà così».

(källa: iltempo.by:Mara Carfagna)




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Sono andato, tornato, ripartito.

Sono andato, tornato, ripartito.
E così ora sono qui, in un’altra fase della Vita. Abito vicino al ponte Västerbron, a forma di arpa. E’ bellissimo. La mia gratitudine è a scoppio molto ritardato. Faccio in tempo a dimenticare gli atti, i nomi e i volti prima di aver capito quando dovessi ad ognuno.