martedì 19 marzo 2013

"La favola del modello scandinavo"


Nel resto d'Europa si parla molto del "modello scandinavo". Nella realtà la Svezia, che e stata all'avanguardia in tanti aspetti dello stato sociale, adesso non fa che perdere terreno rispetto al resto delle nazioni europee. Il welfare svedese è sceso al di sotto di quello tedesco, la disoccupazione aumenta, sulle strade sempre più sconnesse circolano automobili sempre più vecchie.

Svezia, Finlandia e Danimarca. Ciò che oggi caratterizza questi paesi è un alto livello di flessibilità del lavoro, un po' come in Inghilterra, ed un alto livello di protezione sociale, come quella ancora in vigore nell'Europa continentale.

Un modello scandinavo noto in Italia

In particolare nella sua versione svedese, il modello scandinavo è un'applicazione fedele dell'antico sistema di controllo bancario veneziano. A partire dal 1933 questo sistema ha messo radici profonde sotto il governo praticamente ininterrotto della socialdemocrazia strettamente alleata alla principale famiglia bancaria, i Wallenberg, che allora dominava varie fazioni industriali che erano decisamente forti ed importanti.

A quell'epoca le forze della Sinarchia riuscirono ad imporre la loro politica riorganizzando la società in chiave nettamente corporativista. Questa è la base del sistema che fu varato da Mussolini in Italia, il fascismo, ed è una forma di falso potere al popolo. Il fascismo utilizzava le varie associazioni popolari controllati dall'apparato statale come strumenti per dominare il paese. In tal modo il partito fascista poteva pretendere di avere una sua base popolare, raccolta nelle diverse organizzazioni che ne avallavano le decisioni, che copartecipavano, e diventavano corresponsabili delle decisioni anti-popolari del governo. I banchieri si facevano sentire attraverso i propri esponenti in parlamento, nelle amministrazioni e soprattutto nel governo, contanto su esponenti di spicco come Volpi di Misurata.

In Svezia i socialdemocratici, il partito degli agricoltori e le forze finanziarie attorno ai Wallenberg controllano corporativisticamente lo stato, compreso il monopolio statale su radio e televisione, tramite le numerose associazioni popolari di lavoratori, agricoltori, impiegati, consumatori, donne, giovani, ecc. Mentre il parlamento è sempre eletto dal voto diretto dei cittadini, in pratica è diventato ostaggio delle decisioni prese dal concerto delle organizzazioni che egemonizzano gli enti di governo e l'amministrazione pubblica. In Svezia sono quasi assenti le NGO (Organizzazioni non governative). Quelle esistenti sono collegate allo stato o alle strutture corporativiste che lo controllano. 

Quindi esistono le GONGO: Government-operated non-governmental organization. (Organizzazioni non governative orientate dal governo). Rappresentano lo stato di fatto e nel contesto della generale gestione corporativista della società sono soggette all'influenza diretta dei banchieri, della politica oligarchica. Quest'alleanza tra istituzioni di potere e le principali forze finanziarie è stata appropriatamente bollata da Lyndon LaRouche come un movimento fascista dal volto democratico.
Mentre i regimi di Mussolini, di Hitler e di Franco sono stati spazzati via, questo sistema corporativista è sopravvissuto in Svezia fino ai nostri giorni.
Ad esempio, tutto il mercato del lavoro è ancora governato dagli accordi tra queste forze corporativiste e non dalla legge approvata dalle procedure democratiche di un parlamento ed un governo. Persino l'apparato giudiziario che si occupa delle dispute riguardanti il mercato del lavoro è gestito da queste organizzazioni/corporazioni del mercato del lavoro. L'associazione dei datori di lavoro è controllata dalle imprese dell'export dominate dai Wallenbereg e i sindacati sono dominati dalla socialdemocrazia. 

Questo significa che chi non è da essi rappresentato, come le piccole e medie imprese e i disoccupati, non ha in pratica alcuna voce in capitolo.

Disoccupazione reale al 18%-20%

La disoccupazione reale è diventata l'elefante nel salotto che si pretende di non vedere. La disoccupazione continua a crescere al di sopra della soglia del 4% al di sotto della quale il governo si era impegnato a mantenerla. Il mercato del lavoro in Svezia ha perso circa 19.000 posti solo nello scorso anno, a febraio 2013 secondo l`arbetsförmedlingen ( ufficio di collocamento ) la disoccopazione era al 8,5%, per un totale di 427 000 lavoratori. È significativo che metà dei lavoratori e delle lavoratrici sono nella fascia d'età compresa tra i 15 e i 24 anni. ( il 24,5% sono senza lavoro)
Gli sforzi per ridurre la disoccupazione con la globalizzazione dei banchieri, con la speculazione, con l'austerità e con la politica del post-industriale si limitano ad intervenire sulle cifre da rendere pubbliche ma non creano, anzi distruggono i posti di lavoro reali. Ci sono i tanti programmi di lavoro inutili o quasi, di addestramento, di riqualificazione, di prolungamento degli studi, di prolungamento delle assenze per malattia e di pensionamento anticipato attraverso i quali si riesce a contenere le cifre della disoccupazione ufficialmente ammessa. Sono tanti i giovani, gli immigrati e i lavoratori indipendenti che non vengono mai registrati nella forza lavoro, i giovani rimangono in famiglia e gli altri vivono di assistenza sociale e qualche risparmio.
Jan Edling

Jan Edling, economista del LO, dopo cinque anni di studi scrisse un rapporto in cui si la disoccupazione reale si calcolava tra il 20 ed il 25 per cento. Era troppo e la confederazione sindacale censurò il rapporto. Endling si è dimesso ed ha poi rivelato l'intera storia.

Il modello scandinavo per l'Europa

Ciò che in Europa viene propagandato come il modello svedese in realtà è ciò che il prof. Lars Calmfors propose per la Germania nell'articolo "Apprendere dalla Scandinavia", pubblicato nell'edizione tedesca del Financial Times il 26 giugno 2004.

Applicato in forma meno rigorosa anche negli altri paesi scandinavi, il modello Svedese non interviene sui livelli salariali ma controlla e manipola piuttosto i livelli di vita attraverso l'intervento dello stato. Se un aumento salariale ottenuto nella trattativa sembra troppo elevato, lo stato può tagliarlo con gli interventi statali, che vanno dall'aumento delle tasse, ai vari ticket sui servizi sociali, o al rinvio di riforme. Gli altri strumenti usati per tagliare i salari sono le svalutazioni monetarie e l'aumento dell'inflazione. 

L'intero mercato del lavoro corporativista è controllato così capillarmente che si riesce persino a far aumentare il tenore di vita nei mesi che precedono le elezioni e a ridurlo poi nei mesi successivi. Di conseguenza tutti gli svedesi hanno dovuto imparare a riconoscere le differenze tra i salari nominali e il reddito reale.
Continua...
Källa: un articolo di Ulf Sandmark (editerat av Franco Fazio)

lunedì 18 marzo 2013

La boutique del mistero


Questo volumetto l`ho comprato a Roma-Ciampino, mentre aspettavo che la “fedele”  Ryanair mi riportasse a Stoccolma. È una raccolta di racconti di Dino Buzzati che non conoscevo, l`ho letto tutto di un fiato, le righe scivolano via fluide e veloci, degne di un grande scrittore.  Una novella in particolare - breve, ma intensa – credo scritta di getto,spontanea, con parole che ti attraversano l`animo ancor prima che tu riesca a ripensarle.  S'intitola "Inviti superflui", il racconto ci aiuta a capire  che la felicità parte da noi e finisce con noi, non ha bisogno di beni materiali in quanto effimeri ed è quella felicità a cui tutti noi aspiriamo.

Vorrei che tu venissi da me in una sera d'inverno e, stretti insieme dietro i vetri, guardando la solitudine delle strade buie e gelate, ricordassimo gli inverni delle favole, dove si visse insieme senza saperlo. Per gli stessi sentieri fatati passammo infatti tu ed io, con passi timidi, insieme andammo attraverso le foreste piene di lupi, e i medesimi genii ci spiavano dai ciuffi di muschio sospesi alle torri, tra svolazzare di corvi.
Insieme, senza saperlo, di là forse guardammo entrambi verso la vita misteriosa, che ci aspettava.Ivi palpitarono in noi per la prima volta pazzi e teneri desideri. "Ti ricordi?" ci diremo l'un l'altro, stringendoci dolcemente, nella calda stanza, e tu mi sorriderai fiduciosa mentre fuori daran tetro suono le lamiere scosse dal vento.

Ma tu - ora mi ricordo - non conosci le favole antiche dei re senza nome, degli orchi e dei giardini stregati. Mai passasti, rapita, sotto gli alberi magici che parlano con voce umana, né battesti mai alla porta del castello deserto, né camminasti nella notte verso il lume lontano lontano, né ti addormentasti sotto le stelle d'Oriente, cullata da piroga sacra. Dietro i vetri, nella sera d'inverno, probabilmente noi rimarremo muti, io perdendomi nelle favole morte, tu in altre cure a me ignote. Io chiederei "Ti ricordi?", ma tu non ricorderesti.

Vorrei con te passeggiare, un giorno di primavera, col cielo di color grigio e ancora qualche vecchia foglia dell'anno prima trascinata per le strade dal vento, nei quartieri della periferia; e che fosse domenica. In tali contrade sorgono spesso pensieri malinconici e grandi, e in date ore vaga la poesia congiungendo i cuori di quelli che si vogliono bene.

Nascono inoltre speranze che non si sanno dire, favorite dagli orizzonti sterminati dietro le case, dai treni fuggenti, dalle nuvole del settentrione. Ci terremo semplicemente per mano e andremo con passo leggero, dicendo cose insensate, stupide e care. Fino a che si accenderanno i lampioni e dai casamenti squallidi usciranno le storie sinistre delle città, le avventure, i vagheggiati romanzi. E allora noi taceremo, sempre tenendoci per mano, poiché le anime si parleranno senza parola.

Ma tu - adesso mi ricordo - mai mi dicesti cose insensate, stupide e care. Né puoi quindi amare quelle domeniche che dico, né l'anima tua sa parlare alla mia in silenzio, né riconosci all'ora giusta l'incantesimo delle città, né le speranze che scendono dal settentrione. Tu preferisci le luci, la folla, gli uomini che ti guardano, le vie dove dicono si possa incontrar la fortuna. Tu sei diversa da me e se venissi quel giorno a passeggiare, ti lamenteresti di essere stanca; solo questo e nient'altro.

Vorrei anche andare con te d'estate in una valle solitaria, continuamente ridendo per le cose più semplici, ad esplorare i segreti dei boschi, delle strade bianche, di certe case abbandonate. Fermarci sul ponte di legno a guardare l'acqua che passa, ascoltare nei pali del telegrafo quella lunga storia senza fine che viene da un capo del mondo e chissà dove andrà mai. E strappare i fiori dei prati e qui, distesi sull'erba, nel silenzio del sole, contemplare gli abissi del cielo e le bianche nuvolette che passano e le cime delle montagne.

Tu diresti "Che bello!". Niente altro diresti perché noi saremmo felici; avendo il nostro corpo perduto il peso degli anni, le anime divenute fresche, come se fossero nate allora. Ma tu - ora che ci penso - tu ti guarderesti attorno senza capire, ho paura, e ti fermeresti preoccupata a esaminare una calza, mi chiederesti un'altra sigaretta, impaziente di fare ritorno.

E non diresti "Che bello! ", ma altre povere cose che a me non importano. Perché purtroppo sei fatta così. E non saremmo neppure per un istante felici. Vorrei pure - lasciami dire - vorrei con te sottobraccio attraversare le grandi vie della città in un tramonto di novembre, quando il cielo è di puro cristallo. Quando i fantasmi della vita corrono sopra le cupole e sfiorano la gente nera, in fondo alla fossa delle strade, già colme di inquietudini. Quando memorie di età beate e nuovi presagi passano sopra la terra, lasciando dietro di sé una specie di musica.

Con la candida superbia dei bambini guarderemo le facce degli altri, migliaia e migliaia, che a fiumi ci trascorrono accanto. Noi manderemo senza saperlo luce di gioia e tutti saran costretti a guardarci, non per invidia e malanimo; bensì sorridendo un poco, con sentimento di bontà, per via della sera che guarisce le debolezze dell'uomo. Ma tu - lo capisco bene - invece di guardare il cielo di cristallo e gli aerei colonnati battuti dall'estremo sole, vorrai fermarti a guardare le vetrine, gli ori, le ricchezze, le sete, quelle cose meschine. E non ti accorgerai quindi dei fantasmi, né dei presentimenti che passano, né ti sentirai, come me, chiamata a sorte orgogliosa. Né udresti quella specie di musica, né capiresti perché la gente ci guardi con occhi buoni.

Tu penseresti al tuo povero domani e inutilmente sopra di te le statue d'oro sulle guglie alzeranno le spade agli ultimi raggi. Ed io sarei solo. È inutile. Forse tutte queste sono sciocchezze, e tu migliore di me, non presumendo tanto dalla vita. Forse hai ragione tu e sarebbe stupido tentare. Ma almeno, questo sì almeno, vorrei rivederti. Sia quel che sia, noi staremo insieme in qualche modo, e troveremo la gioia. Non importa se di giorno o di notte, d'estate o d'autunno, in un paese sconosciuto, in una casa disadorna, in una squallida locanda.

Mi basterà averti vicina. Io non starò qui ad ascoltare - ti prometto - gli scricchiolii misteriosi del tetto, né guarderò le nubi, né darò retta alle musiche o al vento. Rinuncerò a queste cose inutili, che pure io amo. Avrò pazienza se non capirai ciò che ti dico, se parlerai di fatti a me strani, se ti lamenterai dei vestiti vecchi e dei soldi. Non ci saranno la cosiddetta poesia, le comuni speranze, le mestizie così amiche all'amore. Ma io ti avrò vicina.

E riusciremo, vedrai, a essere abbastanza felici, con molta semplicità, uomo con donna solamente, come suole accadere in ogni parte del mondo. Ma tu - adesso ci penso - sei troppo lontana, centinaia e centinaia di chilometri difficili a valicare. Tu sei dentro a una vita che ignoro, e gli altri uomini ti sono accanto, a cui probabilmente sorridi, come a me nei tempi passati. Ed è bastato poco tempo perché ti dimenticassi di me. Probabilmente non riesci più a ricordare il mio nome. Io sono ormai uscito da te, confuso fra le innumerevoli ombre. Eppure non so pensare che a te, e mi piace dirti queste cose.

källa:la boutique del mistero di dino buzzati


sabato 9 marzo 2013

”Ci sono le fate a Stoccolma”


”Ci sono le fate a Stoccolma” è un libro che racconta la fuga dall’Italia e la ricerca di un posto dove sentirsi “perfetti”, lo scrittore individua il suo posto perfetto in Stoccolma.

Se siete quelli che reputano l’Italia il paese più bello del mondo, (io sono uno di quelli) vi consiglio di non leggerlo, io l`ho letto ugualmente perchè a pensarci bene alla fine nessun paese è il più bello del mondo, perchè la differenza la facciamo noi e solamente noi. La mia esperienza personale mi fà pensare che nel mondo ci siano posti dove uno si senta più libero, città dove stranamente vi sentite a vostro agio e città dove vi sentite nervosi, e soli trà milioni di persone.

Ma ritornando al tema del libro, confrontiamo i pregi dell’Italia e quelli della Svezia,è chiaro che se io non avessi preferito di gran lunga i secondi dato che vivo in Svezia da 45 anni sarei già scappato da un pezzo a "gambe levate."

Chi se ne frega del clima (meglio non pensarci), del cibo (viene bene anche in Svezia), a me del resto interessano altre cose.

Una di queste è che, in Svezia al centro di tutto viene messo l’individuo, in Italia al centro di tutto c’è la famiglia (e nemmeno sostenuta dallo Stato) e perché tutto ciò? Forse perché in Italia c`è un ”omino” che va vestito tutto di bianco che continua a predicare che la donna, si realizza solo nella cura dei figli e del marito? (Chiedo venia, non volevo… lo buttata lí… ) Alla fine questo libro mi ha fatto riflettere e pensare ad un Italia dove tutto s’appoggia sull’apparenza. 

Nel libro l’autore parla di essere stato educato al familismo italiano dove ha appreso a sue spese fin da bambino cosa sia l’ansia, la paura di far “brutta figura”, ad essere sincero anche io convivo un pò con la paura di far ”brutta figura” poi che me ne frego altamente di cosa pensano gli altri è un altro discorso ma vi assicuro che in Svezia quest’ansia non esiste e non si vede ne trà gli uomini e tanto meno trà le donne ,dove invece c’è una tranquilla coscienza di sé e una certa voglia di comunicare.
Un libro molto interessante.

Voglio proporvi le prime pagine…buona lettura.
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La soluzione dei problemi italiani potrebbe chiamarsi già Copenaghen. Mi trovo, in una splendente mattina di sole, nella suite di un albergo che un tempo era un magazzino, in Nyhavn. Volgendo lo sguardo verso la finestra inondata di luce, vedo i traghetti, i barconi, le chiatte sul canale; mi giunge il rumore ovattato dei motori. 

Più lontano, dall'altro lato del porto, quello di una gru diligente e operosa. In basso, una ragazza fuma una sigaretta seduta sulla banchina, gambe all'aria verso l'acqua, tutt'uno con lo scintillio del canale. Ci sarebbe da correre ad abbracciarla (senza che nemmeno sia bionda), se lei non montasse svelta sulla bicicletta appoggiata lì accanto.
Donna Wood è forse il nome dell’attracco del vaporetto (a Venezia si direbbe così) sotto la mia finestra, e di sicuro è ciò che recita un'insegna con tanto di virgolette civettuole. 

Non c'è niente di freddo o ingessato in questo nord dalla luce argentata, con una con una temperatura di venticinque gradi. Chi mai potrebbe avere nostalgia dell'Italia, del Mediterraneo, della sua afa e di quella vitalità fangosa che al fondo è solo studiato rinvio della morte? La soluzione è andarsene, non occuparsi più dell’Italia.

Crede che sia possibile? Crede che si libererà di se stesso alla svelta e facilmente?
Chi ha parlato? La luce entra nella suite da una finestra non ampia; al passaggio delle barche sul canale, disegna ghirigori sul legno del tavolo, ombre che agitano figure astratte. Nessuno qui a parte me, eppure è proprio come se ci fosse qualcuno…
Pochi minuti dopo, nella sala della prima colazione dell’albergo, fa la sua comparsa un signore abbronzato – i capelli brizzolati, la camicia aperta sul petto come andava nei primi anni settanta – che si serve al buffet riempiendosi il piatto. «Buon giorno, io sono il Diavolo», dice venendosi a sedere al mio tavolo. «Non si spaventi», aggiunge con un sorriso largo e accattivante, «non sono Belzebù. Hanno cominciato a chiamarmi così un po’ di anni fa sulla Riviera Adriatica, e alla fine il nomignolo mi è rimasto appiccicato al punto che io stesso mi sono persuaso di essere un po’ un suo parente».

Lo stupore deve apparire sul mio volto se lo sconosciuto si sente di rassicurarmi: «In ogni caso, se vuole restare tranquillo e mangiare la sua colazione da solo, non ha che da dirlo». Gli faccio cenno di restare, incuriosito nonostante tutto. Apprendo così che il signore è un veterano dei paesi scandinavi, in cui è arrivato per la prima volta in motocicletta poco più che ventenne, e nei quali è ritornato regolarmente nel corso degli anni. Da Cesena, sua città natale, il tragitto a quei tempi era facile e diretto: Rimini o Riccione e poi Stoccolma e Oslo sulla scia di qualche vichinga, meglio se in formato Anita Ekberg. Era la dolce vita, che una volta in Italia c’era e adesso non più.
Mi sembra chiaro come il Diavolo sia il residuato di una guerra condotta a colpi di bravate sulla spiaggia, playboy in declino di un mondo in declino, il tipico romagnolo affamato di tette e sederi, il cui interesse per i paesi scandinavi si concentra tutto in tette e sederi. 

Taglio corto e faccio per alzarmi, ma lui mi trattiene per un braccio. «So bene del resto cosa significhi fuggire dall’Italia…» Quasi avesse indovinato il mio pensiero, pare cerchi in me un alter ego, l'amico o il complice che per lui non potrei mai essere. Mi stacco con fredda cortesia, e mentre mi allontano lo sento mormorare ancora qualcosa: una sorta di «Arrivederci…» con intonazione ironica.

In una Opel a noleggio ho caricato la bicicletta prima di prendere la rotta del nord per tentare di risolvere i miei problemi italiani. Ho intenzione di vivere Stoccolma pedalando nelle sue strade dalle molte piste ciclabili, nel centro, nei parchi, lungo l'acqua. 

Arrivo alla meta in piena notte, cioè nel chiarore di un infinito crepuscolo. Stoccolma è immersa in un'incertezza assente. Alle due e mezzo il crepuscolo è già l'aurora con i suoi cinguettii. Nella strada chiara e silenziosa vedo volare una ragazza in bicicletta avvolta in uno scialle rosa.
«Vede, ci sono le fate a Stoccolma…», sembra dirmi una voce che non so da dove venga e non riesco a identificare.

Stoccolma conosce la presenza intensa delle donne. Sono ovunque, a qualunque ora, forti della loro piena libertà di movimento e della loro dignità; muovono i loro corpi con la grazia di chi non ha nulla da temere e può, se vuole, giocare con calma il gioco della seduzione.

Più tardi, seduto al tavolino di un caffè nei pressi della casa di Strindberg, mi capita di pensare che sono rimasto indietro con tutto: i libri, i viaggi, gli amori. E la migliore prova di questo far niente è data proprio dal mio essere a Stoccolma. L'aria è frizzante, il cielo terso attraversato da nuvole bianche. Non faccio nulla se non osservare una tale seduta al caffè di fronte al mio, che potrebbe andarmi fin troppo bene se non avesse un appuntamento con uno che potrebbe essere me se solo non portasse i pantaloni corti

Mi sembra di essere lo scrittore più scrittore che ci sia: la giacca da scrittore, il quadernetto, la penna, perfino gli occhiali scuri… Eppure non scrivo niente. Da mesi i miei lavori sono sospesi, l'unica cosa che mi riesca di fare è passeggiare. Qui a Stoccolma tutto mi piace a parte me stesso. La ragione è semplice: sono un pezzo d’Italia e io detesto l’Italia. Il suo mammismo metafisico, quella particolare mistura di moderno e tradizionale ad alto tasso di familismo che ti taglia le gambe; e poi gli intellettuali servili e felloni, incapaci di formare un contesto che non sia quello del loro semplice opportunismo: insomma tutto ciò che vorrei lasciarmi alle spalle e invece mi accompagna sempre. 

Perfino il clima italiano mi è diventato insopportabile: un caldo schifoso in estate, e poi in inverno il gelo, la nebbia, la pioggia… Quella dell’eterno bel tempo sembra una favola inventata dagli italiani per vendersi meglio.
da un diario di Rino Genovese (napoletano verace).






Svezia: "Il paradiso perduto"

Svezia: si è tanto parlato di paradiso, per piangerlo perduto, che qualcuno ha protestato. Troppo facile, perché ogni paradiso ha i suoi gironi d' inferno. Nel posto delle fragolee dei mirtilli, in Svezia, vanno ora i raccoglitori asiatici malpagati. Ma è difficile negare che la vita civile di questo paese sia stata la meno lontana dal sogno di un paradiso; terrestre e socialdemocratico.

Voi credete probabilmente che la Svezia sia socialdemocratica, ma già da due legislature è retta da un centrodestra. Così la Danimarca. In Norvegia, retta dal Partito dei lavoratori da due legislature, l' alternanza al governo di laburisti e conservatori è stata frequente, mentre in Svezia l' egemonia socialdemocratica era durata settant' anni con poche interruzioni. La tenuta laburista in Norvegia viene ascritta al petrolio, ma forse c' entra anche la storia. Un egualitarismo più fiero in una società di contadini e pescatori senza soggezioni all' aristocrazia, e l' eredità della Seconda Guerra.

Occupata dai nazisti, la Norvegia conobbe l'esilio inglese del re e del governo, e una ammirevole resistenza. Per un amaro paradosso, le è successo di dare al linguaggio politico comune il nome proprio del suo dirigente che si piegò al giogo nazista, Quisling. I solenni signori norvegesi che hanno assegnato il Nobel per la pace al detenuto cinese Liu Xiaobo, non ignoravano che la Cina avrebbe additato il loro paesuccio di cinque milioni come un nemico. Sta di fatto che la socialdemocrazia scandinava, guardata dall' Europa latina come una mescolanza esotica di climi spopolati e bionde libertà, è stata la vera Terza via della sinistra politica e sociale, di cui il laburismo di Blair ha tentato un' effimera emulazione.

Oggi i paesi scandinavi conoscono l'ascesa di formazioni di estrema destra, nazionaliste populiste e a volte apertamente razziste - così i "democratici" svedesi", diventati nelle ultime elezioni il terzo partito, e il norvegese "Partito del progresso", in cui militò Breivik (la sua leader, Siv Jensen, non ha potuto fare a meno ora di dire: "Siamo tutti laburisti").

La crisi economica e la crescita impetuosa dell' immigrazione (in Svezia il 14 per cento, la più alta proporzione europea) espongono i governi, direttamente o indirettamente, alla pressione dei partiti xenofobi: fino alla sospensione di Schengen decisa dalla Danimarca. In realtà, la crisi del "modello scandinavo" era maturata con la caduta del Muro di Berlino e il trionfo dell' individualismo neoliberista. Quel modello aveva al centro la solidarietà sociale - e dunque un prelievo fiscale molto alto - in cambio di servizi efficaci, in particolare ai bambini e alla famiglia. Diciamo subito di un giorno, il più dannato degli inferni socialdemocratici: la fede fanatica, protratta fino alla soglia degli anni ' 90, nell' eugenetica, che spinse soprattutto la Svezia, ma anche Norvegia e Danimarca e Finlandia (e tanti altri paesi, Usa e Canada compresi), alla sterilizzazione forzata di decine di migliaia di persone, donne per lo più, definite come minorate e di peso al progresso collettivo. 

Questo orrore si distingueva dall' eugenetica nazista perché respingeva un' ereditarietà della razza attribuendola invece agli individui: ma con un risultato non meno ributtante. Frutto di una superstizione scientista e di un fanatismo statalista, l' altra faccia dello Stato che accompagna i suoi cittadini "dalla culla alla tomba". E argomento ancora attualissimo al trapasso fra l'ingegneria sociale otto-novecentesca e l' ingegneria genetica nostra. 

Altri inferni stanno in quella storia, dai collaborazionismi nazisti alle vendette del dopoguerra, come il bando silenzioso che colpì le donne norvegesi e i figli dei tedeschi occupanti, e durò per decenni. L' altra faccia, ho detto, ma non era necessaria. Ci fu chi le si oppose in tempo. Non erano inevitabili per le conquiste più preziose della socialdemocrazia: l' istruzione e la conoscenza, la sanità, una sobrietà morale e di costume prima ancora che politica contro la disuguaglianza sfrenata, il riconoscimento del valore e dei diritti del lavoro, l' impegno per il mondo povero e la mediazione internazionale, da Hammarskjoeld al Trattato di Oslo. E la parità fra i sessi, nelle leggi e in formidabili cambiamenti di costume, come la condivisione dei congedi di maternità e paternità, compresi i governanti uomini: che è anche un esempio alle abitudini patriarcali di nuove minoranze - i pakistani sono i più numerosi.

Nella graduatoria mondiale sul ruolo delle donne i primi quattro posti vanno a Islanda, Norvegia, Svezia e Finlandia (l' Italia è al 74esimo). E in particolare un patto di fiducia fra i cittadini e le istituzioni così saldo da durare, sia pure con crepe evidenti, al di là di una maggioranza politica, e spiegare la sconcertante "impreparazione" dello Stato norvegese al gesto di un malfattore, che non si era capaci di immaginare - e non si voleva. Era successo perfino quando, nel 1940, i nazisti invasero la neutrale Norvegia, che si dimostrò del tutto "impreparata":e il paragone, ovviamente improprio, valga a dare credito alle parole del primo ministro Stoltenberg: "La nostra democrazia sarà ancora più aperta - solo, meno ingenua".

A questa ingenuità, e con la tentazione di schernirla, si attribuisce un codice che prevede la pena massima di 21 anni. Eppure la Norvegia ha la più bassa percentuale di detenuti, e spende per loro quasi quanto l' Italia, che ne ha venti volte di più. 

La Scandinavia e la Svezia hanno molte facce, dunque. Si può anche descriverle così: quella parte estrema dell' Europa dove si spediscono i rifiuti di Napoli, e che li tramuta in energia. 

di Adriano Sofri

Attenzione

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Sono andato, tornato, ripartito.

Sono andato, tornato, ripartito.
E così ora sono qui, in un’altra fase della Vita. Abito vicino al ponte Västerbron, a forma di arpa. E’ bellissimo. La mia gratitudine è a scoppio molto ritardato. Faccio in tempo a dimenticare gli atti, i nomi e i volti prima di aver capito quando dovessi ad ognuno.