L’errore,
in realtà, è ancora più grave. Non sono andato ad “un estero qualunque”. Ho
fatto tre ore di aereo e sono sbarcato a Stoccolma. Ho
visto una città civile e sono ancora sotto shock.
Lì non buttano i televisori
guasti per strada. Non ci sono materassi dismessi sui marciapiedi. Non ho visto
lavatrici arrugginite lungo gli assi stradali. Non c’erano cartacce, cicche,
cartoni, supersantos negli alberi. Non c’erano banchetti di sigarette, dvd
falsi, mercanzia varia. Non c’era merce esposta per strada che ti costringe a
camminare tra le auto. Non c’erano auto parcheggiate sui marciapiedi.
Non ho
visto un solo vigile urbano. Non ce n’era bisogno. Ho visto le piste ciclabili.
Quelle vere, non quelle disegnate. Ad un certo
punto dovevo prendere un autobus. Sono andato al capolinea, ho visto un piccolo
edificio illuminato, avevo bisogno di una informazione e sono entrato. Ci sarà
qualcuno che mi spiegherà. Entro e trovo un tabellone luminoso. Numeri, orari,
linee. Poi panchine, poltrone, reception e biglietterie. Trovo la mia notizia,
chiara, in inglese, su un tabellone e faccio per uscire. Io, che quando a Roma
o a Napoli vedo una pensilina, mi emoziono, ero convinto che assunta
l’informazione, dovessi andarmi a trovare il mio pullman all’esterno.
Quell’edificio
era la stazione degli autobus. Aveva i gate per ogni pullman, per ogni linea.
Poltrone al chiuso, tabelloni e porte girevoli che si aprivano all’orario di
partenza come fosse un aeroporto e ti portavano direttamente nel pullman. Che,
ovviamente, è partito in orario perfetto. E dentro
nemmeno una voce, un sussurro, un gridolino. Cinquanta persone sistemate,
ognuna al suo posto, in silenzio.
Ho visto la
gente stare insieme senza disturbare gli altri.
Ho visto le persone dirsi le cose sussurrando, a bassa voce, senza sbracciarsi. Ho visto file ordinate e pazienti. Ho visto tutti i tassisti col Pos, e tutti i negozi chiederti di pagare con carta di credito, please. Ho visto un barista inseguirmi per darmi lo scontrino. Ho visto una città quasi del tutto autosufficiente dal punto di vista energetico, con fonti rinnovabili e alternative. Una città con i riscaldamenti sempre accesi, e alimentati quasi per intero dalla termodistruzione di 300mila tonnellate di rifiuti l’anno in centro, e niente tumori o comitati popolari con il teschio sugli striscioni, con biomasse e biogas usati anche per far viaggiare gli autobus.
Ho visto le persone dirsi le cose sussurrando, a bassa voce, senza sbracciarsi. Ho visto file ordinate e pazienti. Ho visto tutti i tassisti col Pos, e tutti i negozi chiederti di pagare con carta di credito, please. Ho visto un barista inseguirmi per darmi lo scontrino. Ho visto una città quasi del tutto autosufficiente dal punto di vista energetico, con fonti rinnovabili e alternative. Una città con i riscaldamenti sempre accesi, e alimentati quasi per intero dalla termodistruzione di 300mila tonnellate di rifiuti l’anno in centro, e niente tumori o comitati popolari con il teschio sugli striscioni, con biomasse e biogas usati anche per far viaggiare gli autobus.
Ho visto la
città più ecologica al mondo. Non ho visto cassonetti, netturbini, discariche,
isole ecologiche, depositi di ecoballe, e nemmeno orrende campane per la
differenziata. Non c’è bisogno. Si raccoglie palazzo per palazzo. Differenziare
conviene. Le imprese fanno a gara a comprare plastica, carta, vetro, e danno
molti soldi ai condomini, che vendendo i materiali si pagano i costi di
gestione.
Gli scarichi,
per lo più, finiscono in enormi cisterne nel sottosuolo, dove vengono trattati
e poi riutilizzati come energia per cucine a gas. Quelli depurati e limpidi
alimentano il mare.
Ho visto
pannelli solari su ogni palazzo, in una città senza sole, ed enormi vetrate senza
tende, per raccogliere tutta la luce, e farne energia. Ho visto recuperare
l’acqua piovana e fare irrigazione anche solo per le piante di finestra. Ho visto
ciascuno prendersi cura del suo tassello di interesse collettivo. Ho visto una città
rilassata, pacifica, organizzata, mite. Ho visto un altrove dove le cose diventano
possibili.
Poi sono
tornato in Italia. Prima a Roma, assediato dai filippini che mi volevano
vendere un ombrello alla stazione Termini, dove l’autobus mi ha lasciato a
duecento metri dal terminal, che ho fatto sotto la pioggia, scivolando sui
sanpietrini sconnessi, schivando gli ambulanti, rischiando di finire sotto una
macchina perchè sono sceso dal marciapiede dov’era parcheggiata un’altra
macchina. Poi, a notte quasi fonda, sono arrivato a Napoli. Ho preso un taxi.
Ho tenuto gli occhi chiusi. Sono salito a casa. Da quel momento non sono più
uscito. Non ho il coraggio. Ho solo aperto la finestra, stamattina, e ho visto una donna chiedere, ad alta
voce, alla signora del primo piano, che vende le sigarette di contrabbando col
panaro dal balcone, tre pacchetti di “Mabboro” morbide. E
lei rispondere, dalla cucina, senza nemmeno affacciarsi, che le “Mabboro”
non stavano arrivando più, che ci stava la sfaccimma della finanza che
stava rompendo ‘o cazzo al porto, ma roba di due, tre giorni, e
tutto si sistemava. Di più non ho voluto sapere!!!
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källa: I
napoletani non dovrebbero viaggiare, by Antonio Menna