sabato 29 giugno 2013

Communicare e vivere con un cane.

Prontuario di come si vive con un cane: Vivendo in casa con l'uomo il cane ha imparato a riconoscere le gestualità dell'uomo e ad attribuire ad ogni gesto il significato, il timbro di voce del padrone,capisce se l'uomo lo chiama o lo rimprovera: ma noi siamo riusciti a capire quando il cane ci "parla"? L'uomo ha sempre insistito nell'educare il cane come se che lo stesso capisse il suo linguaggio e mai ha pensato di usare un linguaggio animale per comunicare. Non sapendo parlare il cane però,usa un'altro linguaggio, il linguaggio del corpo fatto di vocalizzi, di comportamenti,di gesti e di mimica:riusciamo a capire tale linguaggio? Gli esperti sostengono che l'uomo non è stato capace di comprendere il linguaggio dell'animale,di conseguenza ne nasce una incomprensione. Una cattiva conoscenza del linguaggio canino,può provocare spiacevoli equivoci,è spontaneo manifestare affetto al proprio cane abbracciandolo,ma certi cani possono interpretare il gesto come un'esplicita dichiarazione di sottomissione. Anche il cane più carino e simpatico, dolce e affettuoso può avere dei comportamenti che per noi e per gli estranei possono essere sgradevoli.
Come ben sappiamo il cane da cucciolo "rosicchia"tutto ciò che trova,ma se da adulto questa sua mania è ancora presente bisognerà intervenire. Quando lo becchiamo a rosicchiare ciò che non deve rimproveriamolo con un secco "NO" mostrandogli ciò che stava mordendo, o sbattendo un giornale arrotolato nella nostra mano, il rumore lo spaventerà, o provare a spruzzargli sul muso dell'acqua con un comune spruzzino, ma non sgridiamolo dopo un po' di tempo dal fatto, egli non capirà. Se rosicchia i mobili, che naturalmente non possiamo nascondere,si può intervenire spalmando le gambe dei mobili con un impasto di acqua e peperoncino, egli resterà così disgustato che porrà fine al suo gesto. Se con noi vive un cane aggressivo (se di grossa taglia è il caso di addestrarlo da personale qualificato) occorrerà qualche sforzo per affermare la nostra supremazia. Il cane dominante tende a sfidare il proprietario se questi gli tocca la ciotola del cibo mentre sta mangiando, in questo caso si farà sdraiare il cane così da sottometterlo,e gli si alzerà una zampa posteriore, e, dopo un paio di volte capirà chi comanda! Se l'aggressività è nei confronti di altri cani,egli andrà tenuto al guinzaglio, e lo si costringerà a sedersi,alla vista del rivale,noi dimostrando di non avere paura dell'altro cane, ci complimenteremo con il nostro per fargli capire che si è comportato bene. Se il cane è aggressivo nei confronti di estranei ed è stato addestrato ritornerà nei ranghi con un semplice comando.
Non scordiamoci che anche i piccoli cani difendono il loro territorio ed il padrone abbaiando ed a volte anche mordendo gli estranei, occorrerà farlo socializzare con più gente possibile e se occorre rimproverarlo se la sua aggressività è inutile. Alcuni cani,se lasciati a casa da soli, abbaiano o ululano e vengono colti da attacchi di ansia. Capita spesso ai cani che da cuccioli erano infelici ed hanno cambiato diversi padroni. Per risolvere il problema, prima di lasciarlo solo a casa,diamogli un giocattolo di suo piacimento o qualcosa di cui va ghiotto ma non carezze o coccole ed al nostro rientro lodiamolo di carezze e complimenti. Egli assocerà le carezze al nostro rientro e ci aspetterà tranquillo. Se il nostro cane è di quelli sempre "eccitati"e scambia la nostra gamba per una femmina, egli va sgridato con il solito tono secco (personalmente non me la sono mai sentita di sgridarlo troppo) ed eventualmente una spruzzata di acqua sul muso non gli farà male. Per il cane che "mendica"mentre si è a tavola, e ci guarda con occhi imploranti, è bene non dargli mai niente in bocca,ma farlo sedere e dopo mettergli qualche boccone nella sua ciotola, così lui assocerà il comando seduto con un assaggio del nostro cibo.
Alcuni cinofili non approveranno sicuramente tale metodo perché è più giusto non dargli mai nessun bocconcino fuori pasto, ed hanno ragione, ma anche in questo caso personalmente gli occhi imploranti del mio cane hanno avuto il predominio.


mercoledì 26 giugno 2013

Stoccolma vista da un napoletano.

Ho fatto un errore madornale. Uno sbaglio che un napoletano non dovrebbe mai fare. Sono andato all’estero per tre giorni, e poi sono tornato.
L’errore, in realtà, è ancora più grave. Non sono andato ad “un estero qualunque”. Ho fatto tre ore di aereo e sono sbarcato a Stoccolma. Ho visto una città civile e sono ancora sotto shock. Lì non buttano i televisori guasti per strada. Non ci sono materassi dismessi sui marciapiedi. Non ho visto lavatrici arrugginite lungo gli assi stradali. Non c’erano cartacce, cicche, cartoni, supersantos negli alberi. Non c’erano banchetti di sigarette, dvd falsi, mercanzia varia. Non c’era merce esposta per strada che ti costringe a camminare tra le auto. Non c’erano auto parcheggiate sui marciapiedi.
Non ho visto un solo vigile urbano. Non ce n’era bisogno. Ho visto le piste ciclabili. Quelle vere, non quelle disegnate.
Ad un certo punto dovevo prendere un autobus. Sono andato al capolinea, ho visto un piccolo edificio illuminato, avevo bisogno di una informazione e sono entrato. Ci sarà qualcuno che mi spiegherà. Entro e trovo un tabellone luminoso. Numeri, orari, linee. Poi panchine, poltrone, reception e biglietterie. Trovo la mia notizia, chiara, in inglese, su un tabellone e faccio per uscire. Io, che quando a Roma o a Napoli vedo una pensilina, mi emoziono, ero convinto che assunta l’informazione, dovessi andarmi a trovare il mio pullman all’esterno. NoQuell’edificio era la stazione degli autobus. Aveva i gate per ogni pullman, per ogni linea. Poltrone al chiuso, tabelloni e porte girevoli che si aprivano all’orario di partenza come fosse un aeroporto e ti portavano direttamente nel pullman. Che, ovviamente, è partito in orario perfetto.
E dentro nemmeno una voce, un sussurro, un gridolino. Cinquanta persone sistemate, ognuna al suo posto, in silenzio. Ho visto la gente stare insieme senza disturbare gli altri. Ho visto le persone dirsi le cose sussurrando, a bassa voce, senza sbracciarsi. Ho visto file ordinate e pazienti. Ho visto tutti i tassisti col Pos, e tutti i negozi chiederti di pagare con carta di credito, please. Ho visto un barista inseguirmi per darmi lo scontrino. Ho visto una città quasi del tutto autosufficiente dal punto di vista energetico, con fonti rinnovabili e alternative. Una città con i riscaldamenti sempre accesi, e alimentati quasi per intero dalla termodistruzione di 300mila tonnellate di rifiuti l’anno in centro, e niente tumori o comitati popolari con il teschio sugli striscioni, con biomasse e biogas usati anche per far viaggiare gli autobus.
Ho visto la città più ecologica al mondo. Non ho visto cassonetti, netturbini, discariche, isole ecologiche, depositi di ecoballe, e nemmeno orrende campane per la differenziata. Non c’è bisogno. Si raccoglie palazzo per palazzo. Differenziare conviene. Le imprese fanno a gara a comprare plastica, carta, vetro, e danno molti soldi ai condomini, che vendendo i materiali si pagano i costi di gestione. Gli scarichi, per lo più, finiscono in enormi cisterne nel sottosuolo, dove vengono trattati e poi riutilizzati come energia per cucine a gas. Quelli depurati e limpidi alimentano il mare.
Ho visto pannelli solari su ogni palazzo, in una città senza sole, ed enormi vetrate senza tende, per raccogliere tutta la luce, e farne energia. Ho visto recuperare l’acqua piovana e fare irrigazione anche solo per le piante di finestra. Ho visto ciascuno prendersi cura del suo tassello di interesse collettivo.
Ho visto una città rilassata, pacifica, organizzata, mite. Ho visto un altrove dove le cose diventano possibili.
Poi sono tornato in Italia. Prima a Roma, assediato dai filippini che mi volevano vendere un ombrello alla stazione Termini, dove l’autobus mi ha lasciato a duecento metri dal terminal, che ho fatto sotto la pioggia, scivolando sui sanpietrini sconnessi, schivando gli ambulanti, rischiando di finire sotto una macchina perchè sono sceso dal marciapiede dov’era parcheggiata un’altra macchina. Poi, a notte quasi fonda, sono arrivato a Napoli. Ho preso un taxi. Ho tenuto gli occhi chiusi. Sono salito a casa. Da quel momento non sono più uscito. Non ho il coraggio.
Ho solo aperto la finestra, stamattina, e ho visto una donna chiedere, ad alta voce, alla signora del primo piano, che vende le sigarette di contrabbando col panaro dal balcone, tre pacchetti di “Mabboro” morbide.  E lei rispondere, dalla cucina, senza nemmeno affacciarsi, che le “Mabboro” non stavano arrivando più, che ci stava la sfaccimma della finanza che stava rompendo ‘o cazzo al porto, ma roba di due, tre giorni, e tutto si sistemava. Di più non ho voluto sapere!!!
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källa: I napoletani non dovrebbero viaggiare, by Antonio Menna

 

lunedì 24 giugno 2013

Mi sento un giovanotto.


Mi sento un giovanotto. In controllo. Privo di paure. No, non è mia, ma è la macchina nuova (usata) di un mio amico. È come guidare una formula_1, mi dicono, non è un auto per tutti i giorni, insomma una volta a Roma erano solo i play boy a portarsela in giro. Veramente anche il colore è molto: “macho” rosso Alfa, fiammante, giovanile.

Malgrado la mia età salgo su ugualmente (sì, è un po stretta, non ideale per un nonno da 100 kg con jeans di qualche chilo fa.) Mi piazzo in quel sedile di pelle morbida, comodo, basso, afferro il volante in legno pregiato e…mi sembra di avere una vista del mondo un po’ più limpida. Ma sì, è tutta un’illusione, lo so, ma, beh, mi fa bene. Qualche anno fa avevo una bellissima cupè azzurra, con lo stesso spazio dentro, due posti, ci si può muovere appena… Ma la spider è diversa. C’è quel feeling stranamente romantico-avventuroso che mi fa pensare alle vacanze e tanta libertà, vestito da italiano in vacanza, occhialoni da sole e berrettino Ferrari (forse anche quell’accidente di orologio russo al polso, sai, quello pesantuccio e dolce-amaro), su e giù per curve e tornanti, un continuo cambio di marcia. Le ruote passano facilmente sopra i dossi del selciato, senza farteli sentire addosso come con la mia Fiat, padrona della strada, regina delle curve (okay, cerco di non far caso al serbatoio che mi si svuota davanti agli occhi…), questa se li conquista per benino, non ne ha timore, vince sempre lei. Mi viene da ridere quando passo le macchinine giocattolo, come la SmartCar.

Ma che carina, bella gialla o lilla, potrei appiattirti con lo spostamento d`aria in un istante, trasformandoti in una lastra liscia, una chiazza di colore sull’asfalto. Svaniresti eccome, mia piccola SmartCar grigio metallico, confusa, tremante, un niente davanti alla forza superiore dell´Alfa spider. Altro che guida da pensionato, sai, c’è un’autista esperto e motivato al volante, seppure con i capelli bianchi e mocassini troppo stretti, ma il fuoco dentro ce l’ha eccome, e non sempre quello che ti aspetti, quello che ti fa sciogliere tutto e provoca certi sogni metaforici.

Un fuoco di furia avvolge ‘sta ALFA, le dà una bella spinta, le fa prendere il volo. Attenta SmartCar, potrei facilmente annientarti. Ecco, scendo adesso, mi reggo il berrettino Ferrari con una mano (il vento…). Finita l’avventura. Più dolce, la mia FIAT, mi accoglie sempre con affetto (e piú di rado esige benzina). È ormai parte di me.

Ma l`Alfa aspetta, pronta e inpaziente, forte, quando ne ho bisogno. Allora, attenta a te,  piccola auto !




Attenzione

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Sono andato, tornato, ripartito.

Sono andato, tornato, ripartito.
E così ora sono qui, in un’altra fase della Vita. Abito vicino al ponte Västerbron, a forma di arpa. E’ bellissimo. La mia gratitudine è a scoppio molto ritardato. Faccio in tempo a dimenticare gli atti, i nomi e i volti prima di aver capito quando dovessi ad ognuno.