mercoledì 30 dicembre 2015

La favola di mamma Michela tra lenticchie, superstizione e tanta fortuna.


Fortuna, chi non ne vorrebbe tanta e tanta di più? Ma cos’è la fortuna? Nella sua definizione letterale altro non è se non la sorte favorevole ed il destino propizio. Di fatto è ciò a cui tutti costantemente aspirano in amore, nel lavoro e nella vita in generale. La ricerca costante di un favorevole futuro è terreno fertile per ogni genere di superstizione, rito propiziatorio e credenza popolare. La superstizione è sempre esistita, essa è antica quanto l’uomo, appartiene, infatti, alla nostra stessa natura l‘ ”istinto di affidarsi a qualunque buona speranza” nella ricerca costante della sodisfazione personale, ovvero della felicità. Nell’antica Roma la superstitiònem indicava l’affidamento costante alle divinità per scampare i pericoli, erano superstiziosi coloro che si rimettevano nelle mani degli dei e con doni e sacrifici sempre uguali e sempre ripetuti chiedevano per se una o più “fortune”.Ogni superstizione pretende un “rito materiale ed oggettivo”, questa delle lenticchie a Capodanno si caratterizza per il consumo del legume sulla tavola dell’ultimo dell’anno! In realtà chi crede alla superstizione pensa che consumando il “rituale propizio” si attiri una positiva fortuna … in realtà il comportamento rituale non ha nessun nesso di causa – effetto con gli eventi che il superstizioso, invece, vi correla.
Non è vero, ma ci credo! Quante volte abbiamo usato questa frase per sottolineare la nostra fiera razionalità senza, però, sottrarci al fascino delle tradizioni? Dunque non sarà vero ma tutti mangiamo il cotechino con le lenticchie perché alla fortuna non si può resistere! Del resto la tradizione si radica e si stratifica, fa parte della nostra cultura e del nostro essere ed è bella perché ricca anche di popolarità e credenze!
Mamma Michela:Mi raccontava la favola di un bambino di nome Fortunato che viveva tutto solo in una piccola casa tra le campagne. I genitori erano partiti disperati ed in cerca di lavoro e danaro. La notte dell’ultimo dell’anno il bimbo era solo, il fuoco si spense ed il piccolo non aveva più legna da ardere, non potè neanche cucinarsi un povero piatto di lenticchie. Le piccole lenticchiette brune rimasero nella pentola in terra al camino spento. Fortunato si addormentò desiderando di mangiare la sua minestra e pensando alla mamma ed al papà. Sognò che qualcuno accendeva per lui il fuoco e preparava il cibo, sentì un caldo tepore nel cuore e dormì beatamente. Al suo risveglio il fuoco ardeva e le lenticchie fumavano dalla ciotola sulla tavola, in casa era solo … chi aveva fatto per lui tutto questo? La fame era tanta e il bimbo prese a mangiare il suo piatto … dopo qualche cucchiaio la pietanza si trasformò in oro e soldi. Il bimbo “Fortunato”, si ritrovò ricco, tanto ricco da partire per la città alla ricerca dei genitori che non dovettero più preoccuparsi del danaro e della miseria. Tutti vissero nel benessere e nella fortuna. Questa novella mi convinceva sempre a mangiare … mangiavo per cercare l’oro nelle lenticchie! Non l’ho mai trovato, ma conservo il ricordo di una bella storia per bambini. Dunque, per grandi e piccini “fortunati”, la ricetta del Cotechino con le Lenticchie di una mamma cuoca; Mamma Michela: 
Ingredienti
Lenticchie
Aglio
Olio extravergine d’oliva
Sale
Passata di pomodoro
Peperoncino
Cotechino
***
Procedimento:
In una pentola,possibilmente di coccio,soffriggete l’aglio tritato e il peperoncino con l’olio extravergine d’oliva. Aggiungete le lenticchie e la passata di pomodoro e fate cuocere un paio di minuti. Unite abbastanza acqua calda da coprire interamente le lenticchie. Appena iniziano a bollire aggiungete il sale e fatele cuocere a fuoco moderato finché saranno cotte, mescolando spesso per evitare che si attacchino al fondo della pentola. Cuocete il cotechino seguendo le indicazioni riportate sulla confezione. Disponete le lenticchie su un piatto da portata ed adagiatevi sopra il cotechino tagliato a fette. Servite caldo e Buona Fortuna!
(La canzone di Minghi è
dedicata a mia madre.) 


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Sono andato, tornato, ripartito.

Sono andato, tornato, ripartito.
E così ora sono qui, in un’altra fase della Vita. Abito vicino al ponte Västerbron, a forma di arpa. E’ bellissimo. La mia gratitudine è a scoppio molto ritardato. Faccio in tempo a dimenticare gli atti, i nomi e i volti prima di aver capito quando dovessi ad ognuno.