martedì 21 aprile 2015

Clandestini africani? No, sporchi italiani!


"Gli ultimi saranno i primi” recita il Vangelo. Ma sono parole per un’esistenza oltre la vita, un messaggio che non contempla la superbia di questo mondo. E invece questa frase è stata travisata e, in maniera quasi sacrilega, quelli che ieri erano considerati gli ultimi oggi pensano di essere i primi.
Gli italiani emigranti di un tempo sono diventati i nazionalisti dei nostri giorni, i populisti delle ronde, del “fuori gli extracomunitari dalla penisola, del “ci rubano il lavoro”.
Se fosse solo questione di religiosità basterebbe una sana strigliata del Pontefice a far tornare le cose a posto. Purtroppo, però, il problema è atavico e insito nel dna dei peninsulari. Siamo gente che dimentica facilmente il passato e perde troppo spesso le proprie orme. Qualcuno però ha pensato bene di rinfrescare la memoria a tutti.
Qualche ammo fa usci: “L’orda” di Gian Antonio Stella (Rizzoli Editore), pubblicato recentemente anche in edizione economica e tascabile. Il meraviglioso sottotitolo la dice lunga su ciò che il lettore troverà scritto dietro la copertina: “Quando gli albanesi eravamo noi”. E come dargli torto pensando ai tanti bisnonni partiti con posti di “quarta classe” su navi dirette a Nuova York. A volte nelle cassapanche in soffitta si scoprono ancora le cartoline, scritte in un italiano stentato. Era il miraggio di una vita diversa, ricca, sperando di rubare una fetta di paradiso prima del tempo. Ma non solo avi del secolo scorso sono stati migranti: nel 1962 Mario Trambusti, fiorentino, cadeva  e si sfracellava al suolo cercando di varcare clandestinamente il confine francese sugli strapiombi rocciosi di Ventimiglia. E noi che ci scandalizziamo delle imbarcazioni di disperati che raggiungono le nostre coste! Siamo stati un popolo di emigranti, di clandestini, di “poveri diavoli”. Fino agli anni Cinquanta negli Stati Uniti eravamo citati dalla stampa come un popolo di lustrascarpe e mafiosi, in Australia eravamo straccioni e la Svizzera ci odiava, trattando chi riusciva a varcare il confine come pezzenti.
Le famiglie dei nostri connazionali emigrati abitavano in piccole e malconce baracche e lì dormivano, lavoravano e mangiavano più di dieci persone; i bambini erano mandati a lavorare in miniera o nelle fabbriche non appena avevano acquisito un po’ indipendenza motoria, oppure erano scaricati nella strada alla ricerca di qualche spicciolo di elemosina; gli uomini partivano per “fare la stagione” nelle saline a sud della Francia (attività che i francesi non volevano più svolgere per l’enorme fatica che procurava e la poco stipendio proposto!). A questo quadro penoso si aggiunge l’enorme difficoltà ad integrarsi, l’incapacità di apprendere la lingua del paese ospitante, la facilità alla rissa e al coltello. No, non sono fantasie: il nostro popolo non ha mai avuto una buona reputazione all’estero e, come ci spiega Gian Antonio Stella con centinaia di informazioni accertate, la nostra condizione era quella del “dago” (da “untill the day go” finché il giorno va – nomignolo dispregiativo con cui gli statunitensi chiamavano gli italiani “fannulloni”) e dello straniero accattone e violento.
Arrivo a Long Island
Abbiamo perso la memoria di questa nostra storia e con superbia oggi permettiamo che le parole e le leggi trattino “gli altri” come noi abbiamo sempre detestato essere trattati. Eravamo gli ultimi ed oggi pensiamo di essere i primi.
È l’atteggiamento di chi crede d’aver fatto un passo verso la civiltà e la democrazia ma ha dimenticato le sue origini. Ricordiamoci sempre che se “gli ultimi saranno i primi”, “i primi saranno gli ultimi”. E continuando così, com’è già accaduto emigrando, noi italiani continueremo a non  poter entrare in nessuno dei “regni possibili”.
“L’orda” di Gian Antonio Stella
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Clandestini” africani? No, sporchi italiani
Violenti, eccitabili, accoltellatori
Si suppone che l’Italiano sia un grande criminale. È un grande criminale. L’Italia è prima in Europa con i suoi crimini violenti. (…) Il criminale italiano è una persona tesa, eccitabile, è di temperamento agitato quando è sobrio e ubriaco furioso dopo un paio di bicchieri. Quando è ubriaco arriva lo stiletto. (…) Di regola, i criminali italiani non sono ladri o rapinatori – sono accoltellatori e assassini.
dal “New York Times”, 14 maggio 1909
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La differenza nell’odore
Non sono, ecco, non sono come noi. La differenza sta nell’odore diverso, nell’aspetto diverso, nel modo di agire diverso. Dopotutto non si possono rimproverare. Oh, no. Non si può. Non hanno mai avuto quello che abbiamo avuto noi. Il guaio è…. che non ne riesci a trovare uno che sia onesto.
Richard Nixon, presidente degli Stati Uniti d’America, 1973
Aglio, scimmie, sporcizia
Nella stessa stanza trovai scimmie, bambini, uomini e donne, con organetti e stampi di gesso, tutti ammucchiati insieme (…); un caos di suoni e una combinazione di odori derivanti da aglio, scimmie e dalle persone più sporche. Erano, senza eccezione, la popolazione più sozza che avessi mai incontrato.
descrizione del quartiere italiano da Charles Loring Brace, “The Dangerous Classes of New York”,
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Cartelli criminali, tutti italiani
 Oggi il cuore del crimine organizzato negli Stati Uniti consta di 24 gruppi che operano come cartelli criminali nelle grandi città di tutto il paese. I loro membri sono esclusivamente di origine italiana, sono in costante comunicazione tra loro, e il loro insinuante funzionamento è assicurato dalla presenza di un corpo nazionale di capi.
Dalla Relazione della President’s Commission on Law Enforcement and Administration of Justice, Usa, 1967
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Distruttori del mercato del lavoro americano
Una grande percentuale degli immigrati stranieri che si sono riversati in questo paese negli ultimi anni sono cattolici, e una grande percentuale di loro vengono dagli strati più bassi dell’Italia. La politica del Klan (Ku Klux Klan ndr ) è di fermare il flusso degli indesiderabili così da evitare la distruzione del mercato del lavoro americano.
da “Principles and Purposes of the K.K.K.”
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Attentano a moralità e civiltà
 Noi protestiamo contro l’ingresso nel nostro Paese di persone i cui costumi e stili di vita abbassano gli standard di vita americani e il cui carattere, che appartiene a un ordine di intelligenza inferiore, rende impossibile conservare gli ideali più alti della moralità e civiltà americana.
Reports of the Immigration Commission, Usa, 1911
La mensa a Long Island
Nullafacenza e vile devozione
La popolazione italiana che brulica da queste parti, macchia due volte il pavé del sobborgo rivoluzionario. Essa rappresenta la nullafacenza; rappresenta anche la vile devozione e mollezza nel pieno della sfacciataggine parigina e della blasfemia popolare.
da “La religion des Italiens vue par l’écrivain Jules Vallès. Cronique publiée dan la France” 1882
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Terrore transalpino risse e coltellate
Il quartiere di Spalen a Bale è diventato negli ultimi anni una vera colonia di operai transalpini. La sera soprattutto queste strade hanno un vero profumo di terrore transalpino. Gli abitanti si intasano, cucinano e mangiano pressoché in comune in una saletta rivoltante. Ma quello che è più grave è che alcuni gruppi di italiani si assembrano in certi posti dove intralciano la circolazione e occasionalmente danno vita a risse che spesso finiscono a coltellate.
da “La Suisse”, Ginevra, 17 agosto 1898
in “Liberazione” del 15 agosto 2009
Per non dimenticare e per favore fatelo leggere a Salvini.

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giovedì 16 aprile 2015

Guardare l`Italia dall`alto in basso.

Dilemma per quelli che tengono al proprio Paese; interesse per chi abbia scopi commerciali; domanda con risposta scontata per chi sia fuggito via; domanda spesso non pervenuta per chi ci governa. Come si può guardare e con che occhi viene vista l'Italia dall'Estero?
In questo caso la risposta è “dall'alto al basso”. Ma, fortunatamente, la risposta è intesa anche in senso geografico, dato che questa volta utilizzerò, come punto di osservazione, la Svezia. In genere, gli svedesi amano l'Italia. Ne conoscono cibi e bevande, ci vanno volentieri in vacanza (anche per sciare, pur essendoci delle stazioni sciistiche svedesi), sono attratti dalla storia. Proprio in questi mesi, vicino a Stoccolma, si tiene una bellissima mostra su Pompei. 
Al Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia negli ultimi anni c'è stata una mostra su Guglielmo Marconi e anche un Arduino Day (per Arduino intendo la piattaforma hardware nata a Ivrea). Molta gente conosce un po' delle glorie del cinema. Ad esempio, Federico Fellini. E non a caso, dato che la svedese Anita Ekberg lavorò sotto la sua regia. Un po' di silenzio in più sulla musica nuova, essendo gli svedesi anglofoni per quanto riguarda la musica pop e data la crisi globale della musica classica contemporanea.
La Svezia presta anche attenzione alla produzione letteraria italiana. Sulle pagine della cultura di un quotidiano, oggi è apparsa una recensione dell'ultimo romanzo di Umberto Eco. Un po' di dolori vengono in libreria, dove, negli scaffali di storia dell'Italia, compaiono quasi unicamente libri sulla mafia. Sembra – mi dicono – che siano gli unici che si vendono. Ci sono aziende di import-export di prodotti italiani (soprattutto alimentari) e una sola azienda italiana quotata in borsa in Svezia.
Come potrebbero vederci – azzardo a dire – gli svedesi? Con curiosità, probabilmente. Perché abbiamo un sacco di cose belle e interessanti da proporre, ma siamo (geograficamente e non solo) distantissimi da loro.
Invece com'è l'Italia, guardata da un italiano all'estero? Per chi c'è da tempo e vive qui, la realtà italiana diventa distante. Nonostante spesso il carattere degli svedesi sia riservato. Distante perché la puntualità dei servizi, la qualità della vita e tante altre cose sono così diverse da rendere l'Italia incomprensibile. In questo caso, spesso, viene da guardare la povera nostra nazione dall'alto al basso, cioè piegando la testa e lasciandosi sfuggire una grande lacrima, che, per orgoglio vorremmo ricacciare giù. Verrebbe da gridare alla gente di smettere di preoccuparsi per le fesserie di destre, sinistre, variabili sulla sessualità, vizi pubblici e (molto) private virtù di tanti amministratori pubblici (alla faccia di quelli che, tra loro, vogliono comportarsi onestamente) e guardarsi attorno. Noi, dall'Italia, immersa nel bacino del Mediterraneo, abbiamo il problema del Medio Oriente e dell'Africa, della convivenza con chi abbiamo accolto (venisse Salvini a vedere quanti Rom ci sono a Stoccolma, si spaventerebbe).
Una famiglia di etnia Rom a Stoccolma
Ci sono due problemi. Uno materiale, perché moltissima gente non arriva a fine giornata (non a fine mese). In più la precarietà è diventata un rassegnato credo per moltissimi. Ed uno culturale. Pensiamo di essere aperti al mondo (lo siamo grazie a tantissime persone, che si dedicano con attenzione ai bisognosi in Italia e nel mondo). Invece siamo ottusamente affascinati dalle retrospettive, inchiodati a vecchi argomenti di conversazione e riflessione, a un pessimismo sterile. 
E non vediamo che, fuori dall'Italia, il mondo va avanti.
källa: quotidiano online
Forse dovremmo augurarci di tornare ad essere un popolo di navigatori (non solo in rete), smettendo di essere passeggeri (prendo in prestito la bella immagine dal duo Dalla – De Gregori). Così, per tornare a scoprire quanto è bello il mondo.
 källa: quotidiano online

Attenzione

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Sono andato, tornato, ripartito.

Sono andato, tornato, ripartito.
E così ora sono qui, in un’altra fase della Vita. Abito vicino al ponte Västerbron, a forma di arpa. E’ bellissimo. La mia gratitudine è a scoppio molto ritardato. Faccio in tempo a dimenticare gli atti, i nomi e i volti prima di aver capito quando dovessi ad ognuno.