giovedì 15 marzo 2012

La fiaba di Moder Svea.

Si lo sò,tutti gli italiani hanno un santo protettore…non avendo io (unico italiano) un santo a cui rivolgermi è sempre stata mia abitudine fare domande a Moder Svea.
Lei con pazienza certosina mi ha sempre ascoltato, aiutandomi non poco per la mia sopravvivenza nella sua terra.
Giorni fa dopo una furibonda telefonata con l`ufficio tasse le ho chiesto con modi poco ortodossi: Sapresti spiegarmi,come mai dopo guasi mezzo secolo che abito nella tua terra ancora non ho capito niente di te e del tuo popolo il quale prenderei volentieri a calci in culo ogni volta che mi fa girare le balle…? Lei con la pazienza tutta scandinava che la distingue da sempre mi ha risposto:
Caro Franco, te l`ho spiegato 1000 volte ma tu sei troppo TESTONE  ed ostinato per voler capire.
Ed io di rimando: Allora se non vuoi farlo per me che sono testone, fallo almeno per tutti quelli che testoni non sono e sognano di abitare in Svezia per poter vivere felici e cojonati (scusa Moder Svea! “Contenti...”) tutta la vita?
Così Moder Svea iniziò a raccontare ancora una volta la sua fiaba.
Che tanto fiaba non è:
Esiste un paese dove gli abeti e le betulle si specchiano nei laghi ghiacciati; dove il sole non brucia, ma illumina la notte per molti mesi dell'anno e per altri mesi va in letargo, come l'orso bruno e i tanti animali, piccoli e grandi, che popolano le sue foreste.
La Svezia è una signora dai capelli di grano, che cambia vestito ogni stagione; d'estate indossa il blu dei suoi laghi fatati, d'inverno si veste di grigio, come il cielo spietato di questa stagione. Il suo profumo è quello dei mille fiori nordici colorati che inebriano la mente; il muschio incorona la sua testa e tutto di lei sa di freschezza. Essa è madre che provvede ai piccoli e agli anziani, non abbandona nessuno e vigila, attenta, sulle frontiere. D'inverno, quando le lancette dell'orologio segnano le tre del pomeriggio si accendono i lampioni e la notte si avvicina, inesorabilmente. Questa lunga notte del nord che dura tanto ed esercita sull'uomo inerme il suo fascino che, per quanto cinico sia, non può sfuggire alla metafisica che caratterizza questa terra.
E' come se l'anima del Vichingo aleggiasse disperato nelle tenebre, perché non trova risposta alla sua disfatta, né soddisfazione dai suoi discendenti pacifici e tranquilli. Così, il forestiero, profano ed inesperto, sperimenta la forma sublime ed assoluta del suo silenzio, in cui persino sentire il proprio cuore battere e pensare diventa rumoroso. Questo silenzio che fa sì che l'uomo prenda conoscenza della sua piccolezza di fronte all'immensità e ai rumori sinistri dell'aurora boreale.
La solitudine del nord fa perdere il contatto con il resto del mondo e la sua rumorosa realtà.
Esistono delle casette di legno tinte di rosso e di bianco con tendine che ornano le finestre e con dei fiori sui davanzali sperdute nei boschi, sono isolate, eppur vive, a stretto contatto con la natura e con gli animali che le circondano.
La mia Svezia sta lì, in disparte, perché ha scelto di essere così. Guarda e vigila il vecchio continente. Eppure, secoli fa, anch'essa era una guerriera, aveva invaso la Norvegia, la Finlandia, la Danimarca, la Lettonia, l'Estonia e una parte della Germania. Imperatrice, si vestiva di gloria.
Le sue guerre furono rare, ma quelle poche durarono anni. La guerra contro la Danimarca durò trent'anni. Fu così che si elesse Regina del Nord.
In questo paese regna sovrana la democrazia. E' nel sangue del re e della regina.
Gustav VI Adolf si chiama Bernardotte ed è discendente di un generale di Napoleone; la regina, Silvia, era una hostess delle Olimpiadi ed è tedesca, vissuta in Brasile.
Non era né strano, né inconsueto, incontrare il nonno del re per le vie di Stoccolma in bicicletta. Il vecchio nonno amava l'archeologia e spesso è stato ospite in Italia nelle vicinanze di Viterbo, dove amava scavare e scoprire i tesori delle tombe etrusche.
I ministri svedesi non sono scortati, né ho mai visto macchine di servizio, usano i mezzi pubblici o vanno a piedi. Non sto farneticando, né è fantasia, ma la pura e semplice verità. E democratico è anche il popolo. Non si fregia del titolo di dottore (anche se laureati), almeno che non sia un medico di professione, né esistono professori o professorini. Sono, siamo, tutti signori.
Il palazzo reale non sovrasta nessun luogo, nessun muro di cinta né cancelli o cancelletti, o qualsiasi barriera, che lo separi dalla gente comune. Esso è situato nella “gamla stan” (città vecchia) e s'affaccia sul lago Mälaren, dove d'inverno blocchi di ghiaccio sottili, per via delle correnti, scivolano silenziosi e vengono rotti da un lento rompighiaccio.
Questo è lo stesso lago che d'estate si popola da cigni, papere e barche a vela di tutte le dimensioni e colori. Nell'oscurità dei pomeriggi invernali si possono intravedere le sagome delle chiese gotiche protestanti i cui campanili, che sovrastano le case, hanno in cima l'eterno gallo che sembra scrutare l'infinito.
Stoccolma si estende pigramente intorno al lago, su tanti isolotti che si ricollegano con ponti e ponticelli.
Ecco il significato del nome Stockholm: “stock” significa tronco e “holm” significa isolotto, infatti, la parte vecchia della città, fu costruita su dei tronchi enormi che sono immersi nelle acque profonde.
La città che d'inverno dormicchia, d'estate si risveglia: tornano gli uccelli migratori, rifioriscono i tulipani, le rose selvatiche, i mughetti, le viole e gli alberi si vestono di verde.
I laghi sembrano riprendere vita dalle barche traghetti che scivolano silenziosamente nei canali stretti, costeggiati da alberi che con i loro lunghi rami sembrano salutare i marinai provetti.
Stoccolma è una bomboniera, dove d'inverno il silenzio fa da re e la solitudine fa da regina, ma che d'estate si colora di turisti variopinti e gli svedesi ritornano a sorridere.
Finora vi ho descritto un paese da favola, ma il tempo delle favole è passato da un pezzo. Un paese troppo perfetto per essere reale.
Mi è costato un po' di fatica scrivere questa ultima parte, perché io mi domando come faccio a mostrare le parti deboli di un paese che amo, perché sono figlia, nata dalle sue viscere, ma la mia Svezia vuole essere quella che è stata per me, senza finzioni o fantasie.
Ci saranno altre “Svezie” per altri occhi e cuori, per altre esperienze diverse dalle mie.

Ad ognuno la sua verità. Questa è la mia:
Difficile è spiegare a voi italiani quando i bambini, ancora piccoli da scuola elementari, portano le chiavi di casa attaccate al collo da un laccio. Tornano a casa e non trovano nessuno, perché i genitori stanno al lavoro. Devono fare tutto da soli. Crescono fin troppo in fretta, così come i figli d'Italia crescono con “ritardo”. E ancor più difficile è spiegare che questi figli svedesi in età dell'adolescenza escono di casa e vanno a vivere da soli. Senza il sostentamento dei genitori.
Molti sono figli di genitori divorziati, cresciuti con uno o due “papà” (o mamme) diversi dai propri. Figli del divorzio, perché se è facile sposarsi in Svezia è altrettanto facile divorziare: 6 mesi ed è fatta. Almeno così era ai miei tempi.
Le coppie preferiscono convivere, perché il valore della famiglia è diverso da quella italiana.
Come faccio io a spiegarvi del potere degli assistenti sociale, forte più di quello dei genitori stessi. Vero è che l'intenzione è per il bene del bambino, ma come faccio a spiegare a voi queste testuali parole: “Il padre naturale è soltanto un papà biologico, lo Stato provvederà a tuo figlio”. Parole, queste, pronunciate da un assistente sociale ad un genitore preoccupato per la sorte di suo figlio.Questa famosa e perfetta assistenza sociale svedese, che guai se non ci fosse, però in qualche modo produce solitudine ed abbandono da parte dei parenti dell'assistito. Conosco anziani che non vedono né sentono per telefono i propri parenti da anni, muoiono in casa e lo si scopre dopo giorni e giorni, perché nessuno li aveva cercati.
Rimangono le lunghe e silenziose passeggiate solitarie di chi ormai ha vissuto. Raramente, ho visto dei nipoti accompagnare i nonni nel parco.
Come faccio io a spiegare i sentimenti che suscitavano in me, già negli anni sessanta, quando mi trovavo di fronte a degli enormi cartelloni per strada, dove erano stampati i nomi delle giovani vittime per droga? Giovani che erano disposti a qualsiasi cosa pur di ricevere un po' di illusioni pericolose; giovani abbandonati a se stessi, che già vivono di assistenza sociale e disillusi dalla vita, perché dalla vita sono stati sfruttati, con la benedizione di un benessere che porta il cognome di un malessere sociale.
E, infine, cosa dirvi dell'alto tasso di suicidi degli anni passati, del profondo mal di vivere? 
Questa, signori miei, è l'altra faccia del sogno Scandinavo, che si chiama incubo.
Il paradiso che non esiste su questa terra, appartiene al cielo. Forse.
Moder Svea





venerdì 9 marzo 2012

Benvenuti in Svezia.


Benvenuti in Svezia: Quando i carrelli dell’aereo stridono contro la pista, vi coglie un fremito che spezza i primi sintomi della malinconia: un fremito di euforia. Non è stato facile, ma ci siete riusciti. C’è voluto del tempo, ci sono voluti dei sacrifici, probabilmente più del previsto, ma alla fine ce l’avete fatta. Siete arrivati. Vi aspetta una nuova vita. Avete mollato tutto o quasi: amici, partner, famiglia, lavoro, hobby… Tutto per trasferirvi in un’altra città. Lontano da casa.

Da soli!

All’inizio, come animali fuori dal loro territorio, sarete disorientati, ma nel vostro caso anche entusiasti e pieni di energie. Energie che userete per imparare una nuova lingua, cercare pazientemente casa, affrontare numerosi colloqui di lavoro, visitare la città, scoprire locali nuovi in cui trascorrere le vostre notti e alzare i vostri gomiti, conoscere nuovi amici e amiche; avrete addirittura voglia di passare le feste lontano da casa e sentirete di rado le persone che eravate soliti frequentare, e probabilmente vi siete già trovati una ragazza o un ragazzo per “facilitarvi la vita”. Prima o poi, tuttavia, finirete inevitabilmente intrappolati in una routine, perché – udite udite – anche chi odia la routine ne ha una.

Allora inizierà una ricerca più profonda, sarete più esigenti, selettivi, intransigenti, intolleranti. Inizialmente saranno bazzecole: partirete alla ricerca del ristorante più raffinato, del supermercato più economico, del mezzo di trasporto più efficiente, del club o bar dove si beve meglio, del parrucchiere più abile, del centro commerciale più fornito, del negozio di abbigliamento con più saldi… fino a conoscere la città come il palmo della vostra mano.
Poi passerete a questioni più serie: probabilmente cambierete appartamento un paio di volte per motivi futili; scazzerete con qualche “amico” acquisito in fase di “bisogno di amici”; e, infine, il vostro stato mentale si avvicinerà pericolosamente a quello che vi torturava prima di trasferirvi.
Non sarà facile rendervene conto, succederà un giorno qualunque in un momento qualunque, ascolterete per caso una canzone, vedrete per caso un film o una serie in TV o qualcuno pronuncerà una frase che vi farà ripiombare nel passato. Lì capirete che siete gli stessi di prima, solo in un altro posto, e intuirete che non basta trasferirsi per cambiare.

Non tutti sappiamo accettare la verità, però. Ci piace distorcerla in modo da sentirci meglio con noi stessi. Perciò, ognuno interpreterà in modo diverso questa sensazione. Nella maggior parte dei casi soffriremo di un’acuta (ed eventualmente cronica) mancanza di casa, penseremo di aver sbagliato tutto, che saremmo dovuti restare dov’eravamo, che si stava meglio quando si stava peggio. Niente di più sbagliato: il problema è che ci siamo tenuti in testa un grosso pezzo di casa e abbiamo cercato di imporla nel nostro nuovo habitat. Non sappiamo adattarci.

Poi c`è lo spirito nomade, quello che è convinto di dover continuare a migrare per sentirsi in pace con sé stesso. Questo è caratterizzato da mancanza di pazienza e da una famelica assuefazione alle novità. Non si accontenta mai, è il tipico individuo sregolato che non è capace di farsi durare le cose. Probabilmente continuerà a spostarsi per tutta la vita, senza mai trovare pace né amore, e perdendo quel poco di buono che avrà incontrato. Non sa accettare i difetti.

Ci saranno sicuramente mille altri casi, come coloro che biasimeranno un qualche deus ex machina o fingeranno di stare bene per tutta la vita, ma sono certo che qualcuno capirà che la propria melanconia proviene soltanto da dentro, e allora ci sarà spazio per un cambiamento.
Certo, a questo punto è anche possibile che siate felici, ma siamo onesti:
stiamo parlando degli esseri umani…
Tack och farväl.




Perchè a volte scrivo in svedese.

Sono un uomo romano. Alcuni dei miei antenati, diversi secoli fa, erano già cittadini romani. Dovrei quindi essere un romano vero, o quasi, visto che alcune dosi di sangue barbarico devono sicuramente scorrere nelle mie vene, forse germanico e gallico della regione alpina.
La mia lingua è l’italiano, idioma non troppo diverso dal latino parlato dalla gente comune al tempi del tardo Impero Romano. Il motivo per cui mi sforzo di comunicare in questa lingua di origine Vikinga – che non padroneggio del tutto e che, sebbene suoni un pò fredda al mio cuore, considero non del tutto priva di fascino – è la varietà che mi eccita come una droga e l’essere un pò stanco di parlare quasi esclusivamente con i miei connazionali, nella speranza che lo svedese lingua vikinga, permetta uno scambio più esteso di idee.

Attenzione

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Sono andato, tornato, ripartito.

Sono andato, tornato, ripartito.
E così ora sono qui, in un’altra fase della Vita. Abito vicino al ponte Västerbron, a forma di arpa. E’ bellissimo. La mia gratitudine è a scoppio molto ritardato. Faccio in tempo a dimenticare gli atti, i nomi e i volti prima di aver capito quando dovessi ad ognuno.