Fu nel 1934 che, preoccupati dal calo delle nascite nel loro
Paese, i coniugi Myrdahl (lei Alva, sociologa premio Nobel per la pace, lui
Gunnar, economista, premio Nobel per l’economia) scrissero il libro «La crisi
demografica», denunciando le cause che inducevano le famiglie svedesi a non
"proliferare" più come in passato, proponendo soluzioni drastiche di
miglioramento delle loro condizioni per ridare una spinta alla natalità. Le
leggi che furono emanate già nel 1935 traevano ammaestramento dai consigli forniti
dalla coppia Myrdahl e da allora, compatibilmente con le disponibilità
finanziarie del settore pubblico, gli aiuti alle famiglie sono andati
gradualmente crescendo fino ai livelli attuali.
Parallelamente alla concessione di sussidi sempre più generosi, è stata adottata una politica fiscale che praticamente ha costretto tutte le donne svedesi a cercarsi un lavoro, data l’impossibilità di vivere di un solo reddito familiare, lasciando la cura dei propi figli alle istituzioni pubbliche. «In pratica le donne svedesi sono costrette a prendersi cura dei figli degli altri anziché dei propri.» L’avvocato di Stoccolma Lennart Hane, autore di parecchi testi riguardanti la famiglia, arriva addirittura a dichiarare che «la politica familiare svedese conduce al totalitarismo» mentre il noto studioso Stanley Kurtz dell’Hoover Institute, constatando che il 55% dei bambini svedesi nascono fuori del matrimonio, una tendenza condivisa peraltro anche dagli altri Paesi scandinavi, e che è stata cancellata qualsiasi differenza giuridica ed economica fra matrimoni e coabitazioni, etero od omosessuali che siano, afferma che «in Scandinavia il matrimonio é finito».
Parallelamente alla concessione di sussidi sempre più generosi, è stata adottata una politica fiscale che praticamente ha costretto tutte le donne svedesi a cercarsi un lavoro, data l’impossibilità di vivere di un solo reddito familiare, lasciando la cura dei propi figli alle istituzioni pubbliche. «In pratica le donne svedesi sono costrette a prendersi cura dei figli degli altri anziché dei propri.» L’avvocato di Stoccolma Lennart Hane, autore di parecchi testi riguardanti la famiglia, arriva addirittura a dichiarare che «la politica familiare svedese conduce al totalitarismo» mentre il noto studioso Stanley Kurtz dell’Hoover Institute, constatando che il 55% dei bambini svedesi nascono fuori del matrimonio, una tendenza condivisa peraltro anche dagli altri Paesi scandinavi, e che è stata cancellata qualsiasi differenza giuridica ed economica fra matrimoni e coabitazioni, etero od omosessuali che siano, afferma che «in Scandinavia il matrimonio é finito».
Eppure in Svezia ci si sposa ancora. E magari con fasto e
con i figli che tengono il velo della sposa, in un turbinio di cerimonie e di
pratiche che si raccolgono attorno alla cifra magica 30.000. Tanti sono infatti
ogni anno i matrimoni, i divorzi e gli aborti legali. Ma allora dov’è la
felicità del paradiso in terra che dovrebbe essere garantito dal "modello
svedese", un toccasana che i politici di Stoccolma vorrebbero imporre a
tutta l’Europa? Certo, le gelide cifre statistiche parlano chiaro e
all’estraneo non sfugge il caos che nasce dai menages a tre, a quattro, a
cinque, dalla spola che fanno i bambini fra il padre a la madre incontrando
fratellastri o sorellastre, dal loro incontro con uomini o donne nuove che
diventano sostituti dei genitori veri. E
non sono sordi gli svedesi alle critiche che vengono dall’estero, ma loro le
controbattono elargendo con larga mano sussidi e previdenze che dovrebbero
alleggerire il peso del bilancio familiare e che attualmente fanno sospirare di
invidia tutti coloro che, in seno alla famiglia, si dibattono all’estero con
problemi di sopravvivenza, assediati dalle spese giornaliere, dai conti, dalle
bollette, da necessità impreviste quali un paio di scarpe nuove o una cartella
per la scuola.
La crisi demografica.
In questo Paese le cure ospedaliere sono gratuite, le
previdenze per le madri generose, le strutture per l’infanzia esemplari, i
libri di testo, il materiale di cancelleria e le refezioni scolastiche gratuiti
sono un diritto acquisito da settant’anni, le autorità preposte all’assistenza
sociale intervengono se la famiglia stenta a pagare l’affitto, assegnandole un
sussidio fisso mensile, e rilasciano buoni se mancano i soldi per arrivare alla
fine del mese o per pagare il conto del telefono o per acquistare capi di
vestiario o calzature.
È tanto il desiderio di dimostrare che non si vuole
annientare, bensì consolidare il concetto tradizionale di famiglia, che proprio
dal mese luglio dello scorso anno sono stati apportati ulteriori miglioramenti
alle già generose previdenze. Nel frattempo, però, si vuole anche perseguire
quello scopo di «realizzazione personale» secondo il quale ogni adulto è
responsabile del proprio sostentamento e si costringono i padri ad usufruire di
un minimo di tre mesi dei 480 giorni di congedo parentale, rimanendo a casa ad
accudire i figli neonati. E allo stesso scopo è stata presentata una mozione
parlamentare per ridurre le imposte sul reddito per le madri sole. Però, per
venire incontro ad un desiderio espresso, ad onta dell’ondata femminista
contraria, da una larga fascia di cittadini, dal 1 di luglio dello scorso anno
viene versato un assegno minimo mensile di 320 euro (e che ogni comune potrà
aumentare a discrezione) ai genitori che si prenderanno cura dei propri figli,
fino all’età di 3 anni, rinunciando al lavoro e all’asilo. Per una famiglia con
due bambini in età inferiore ai tre anni, ciò significa, fra vårdnadsbidrag
(assegno di cura) e assegno per la prole, un sussidio di 530 euro al mese. A
questa cifra va aggiunto il compenso che, durante il congedo parentale sarà
versato al genitore che ne usufruisce e che è pari all’80% del salario.
Un genitore potrà quindi lavorare e uno potrà restare a casa
per aver cura dei figli senza che il reddito familiare ne risulti diminuito.
E con provvedimenti di questo tipo, l’attuale governo di
centrodestra, che in una certa misura si oppone al principio socialdemocratico
di "annullamento della famiglia", spera di rinsaldare il concetto di
nucleo familiare tradizionale, dando una spinta alle nascite che, pur con un
tasso di dell’1,6% , quindi superiore al tasso Ue dell’1,4%, rimane ancora al
di sotto di quel 2,1% che si registrava negli anni settanta....
"Finchè c'è vita c'è speranza."