sabato 17 dicembre 2011

Solitudine


È soprattutto nella solitudine
che si sente il vantaggio di vivere
con qualcuno che sappia pensare.
 (Jean Jacques Rousseau)

martedì 13 dicembre 2011

Essere Italiani

Italiano è colui che difende la sua nazione, conosce la storia della nazione, ama la nazione, onora la nazione, partecipa ai suoi usi, costumi e tradizioni, aiuta a migliorare la sua nazione economicamente e culturalmente e osserva i doveri e le leggi della sua nazione. Non è sufficiente essere nati, lavorare e vivere in Italia per essere italiano. Io ho dovuto espatriare in Svezia, e non ho mai desiderato essere chiamato «svedese» perché il mio cuore è e sarà sempre italiano così come credo la pensano tutti i non italiani che vengono in Italia. 


Essere Italiani significa essere nati nella culla della Civiltà ed essere detentori di priorità fondamentali nell'Arte, nella Letteratura, nelle Scienze, nelle Matematiche, e nella Tecnologia. Senza disconoscere altre priorità ad altri popoli europei. Il fondatore della Scienza è stato Galileo Galilei, che ne ha dato il metodo teorico-sperimentale. Dopo di lui le scoperte si sono moltiplicate a ritmo esponenziale. Grazie anche alla risonanza del suo processo che ha permesso la diffusione della sua fama e dei suoi studi in Europa fin dove giungevano le strade consolari romane. Così il metodo e le sue potenzialità poterono essere sviluppati da scienziati italiani, francesi, inglesi, tedeschi, svizzeri, olandesi, danesi. E l'Europa occidentale divenne la culla della Scienza e della Tecnologia. Essere italiani significa avere coscienza che dopo alcuni secoli cosiddetti "bui" che però rilucevano della Fede cristiana, la grandezza dell'Impero romano riaffiorava in un afflato trasformato attraverso il Rinascimento, e la Chiesa di Roma emblematicamente risorgente nel mondo moderno sotto la cupola michelangiolesca. Quei valori risorgevano a beneficio di tutta l'Europa, e oggi sono il fondamento della sua unità, ripristinata dopo duemila anni. Le lotte ideologiche, retaggio di guerre fratricide, l' apparire di dottrine egoistiche, e ristrette a falsi idoli individualisti, cercano oggi di intaccare il senso della Storia. Essere italiani significa richiamare quel senso. Il che si può fare ritornando a pensare in grande il destino che questa fortunata dimensione mediterranea ci ha dato.

lunedì 12 dicembre 2011

Eugenetica, ombra scura sul modello svedese.

Questa signora si chiama: Maija Runcis 
" archivista e ricercatrice svedese " ha publicato in Svezia  lo studio che Lei stessa ha caparbiamente redatto e che ha portato alla luce l'ingombrante responsabilità politica dei governi socialdemocratici che stabilirono a suo tempo per legge la sterilizzazione dei propri cittadini. 
La signora Runcis ha lavorato come responsabile di un reparto dell'archivio di stato. Un giorno, in alcuni locali dell'ufficio, scopre materiale custodito sotto chiave. Quando lo apre si rende conto di essere davanti a migliaia di richieste disterilizzazione.
Più tardi capirà che quelli sono gli effetti di un progetto che affonda le sue radici in tragiche teorie dibattute per tutti gli anni '20. 
Ancora oggi siamo abituati a considerare il welfare state realizzato in Svezia dalla socialdemocrazia come una delle grandi, e più positive, esperienze politico-sociali del XX secolo. Ma che le cose non stessero interamente così, che il tanto magnificato «modello svedese» avesse anche qualche tratto oscuro, perfino qualche venatura autoritaria, venne fuori in realtà alla fine degli anni Novanta quando, quasi per caso, una ricercatrice svedese, Maija Runcis, fece una scoperta sconvolgente. Si rese conto che nella Svezia socialdemocratica, in cui nessuno - così, almeno, si era sempre sostenuto - doveva essere trascurato o lasciato indietro, erano state compiute dal 1935 al ' 75 (anno di abolizione della relativa legge) oltre 60 mila sterilizzazioni, per il 90-95 per cento riguardanti donne. Ed erano state compiute precisamente con l' intento, insieme eugenetico ed economico-sociale, di eliminare la capacità riproduttiva delle persone «difettose», cioè degli esseri umani «di tipo B» (come scrivevano comunemente, negli anni Trenta e Quaranta, gli addetti alle scienze sociali e mediche), ciò che avrebbe permesso di utilizzare al meglio le risorse per garantire il benessere della popolazione sana, degli esseri umani «di tipo A». Di questo argomento si occupa Luca Dotti. Il merito principale del suo volume consiste nel mostrare come la politica di sterilizzazione non rappresentasse un incidente di percorso nella lunghissima vicenda dei governi socialdemocratici che furono ininterrottamente al potere dal 1932 al ' 76. Negli anni Trenta l' eugenetica riscuoteva un certo successo in vari Paesi occidentali. Ma in Svezia la sua diffusione poteva giovarsi della paura che, da un lato, il calo demografico (effettivamente in atto), dall' altro il temuto aumento degli individui «di scarsa qualità» avrebbero indebolito la salute, fisica e morale, della popolazione. L' elemento probabilmente decisivo fu il fatto che preoccupazioni del genere vennero fatte proprie dalla socialdemocrazia una volta giunta al potere: la sua concezione di una «casa comune del popolo» (l' equivalente svedese del welfare state) si dimostrò capace di riqualificare in senso economico-sociale la politica di eliminazione (attraverso la sterilizzazione) del materiale umano «di scarto», senza rinunciare del tutto alle vecchie argomentazioni di tipo biologico, fondate sull' idea di una rigida trasmissione ereditaria delle (presunte) tare fisiche e morali degli individui. Come Dotti mette in rilievo, a favorire l' affermazione della concezione socialdemocratica di un benessere sociale da creare anche attraverso la sterilizzazione concorrevano almeno altri due elementi. Da un lato, un certo rigorismo luterano, portato a considerare ogni segnale di disordine nel comportamento e nello stile di vita come una minaccia alla salute della collettività: nelle pratiche di sterilizzazione, la «volubilità sessuale» di una donna o la mancanza di pulizia nella casa erano considerate altrettanti segni di pericolosa asocialità. Dall' altro, c' era il diffondersi nell' ambito delle scienze umane di un' ideologia funzionalista che tendeva a concepire la politica sociale come l' applicazione di misure algidamente oggettive, e poneva il benessere della società come nettamente prevalente su quello dei singoli individui. Furono i coniugi Gunnar e Alva Myrdal i massimi teorici di questo socialismo che attribuiva allo Stato e alla politica funzioni demiurgiche, affidandosi agli scienziati sociali e alle loro soluzioni indiscutibili, poiché queste si presentavano come il frutto del puro calcolo razionale. Economista (e a lungo capo del gruppo parlamentare socialdemocratico) lui, esperta di problemi della famiglia lei, i Myrdal furono anche insigniti del premio Nobel: il solo caso di coniugi premiati per due materie diverse e in due periodi differenti (i coniugi Curie, l' unica altra coppia, avevano ricevuto entrambi il Nobel per la fisica). Nel 1934 un loro libro dedicato alla crisi demografica svedese non solo ebbe uno straordinario successo, ma svolse anche una funzione decisiva nell' orientare la socialdemocrazia e l' opinione pubblica verso misure tese a eliminare gli «individui superflui» così da evitare che la società sprecasse risorse a causa di persone giudicate irrecuperabili. I Myrdal, e un po' tutti gli esperti socialdemocratici del tempo, criticarono non poco la legge sulla sterilizzazione del 1934 poiché essa autorizzava in realtà l' intervento solo nel caso di malati di mente o comunque di individui incapaci di intendere e di volere. Sarebbe stato invece necessario, sostenevano, intervenire su tutta la massa di «sfaccendati», «asociali», «leggermente ritardati» che sfuggivano alle maglie della legge, sottraendosi così all' ossessione purificatrice degli scienziati sociali e dei rappresentanti della professione medica. Un esponente socialdemocratico dichiarò: «Io penso che sia meglio esagerare che rischiare di avere una progenie inadatta e inferiore». Fu così che pochi anni dopo, nel 1941, una nuova legge introdusse la possibilità di sterilizzare una più ampia casistica di persone. La legge, per la verità, indicava chiaramente che chi risultava capace di intendere e di volere avrebbe dovuto sottoscrivere la richiesta di sterilizzazione. Ma la presenza della firma, argomenta convincentemente Dotti, non certificava di per sé la volontarietà. Esistevano infatti molte forme di pressione che medici e assistenti sociali potevano mettere in atto per convincere ad accettare l' intervento: la possibilità di ricevere solo a quella condizione l' assistenza contro la povertà, oppure la prospettiva di essere dimessi da un' istituzione pubblica, nella quale si era costretti a soggiornare, solo dopo aver accettato l' intervento di sterilizzazione. Quella raccontata da Dotti con precisione (anche se in una forma non sempre chiarissima) è una vicenda alla quale sono stati dedicati vari studi. E tuttavia su di essa spesso si preferisce sorvolare. Ad esempio, nella voluminosa e informatissima Enciclopedia della sinistra europea nel XX secolo (diretta da Aldo Agosti per gli Editori Riuniti), riguardo all' opera dei coniugi Myrdal negli anni Trenta ci si limita sostanzialmente a scrivere che si batterono «a favore di ampi ed efficaci programmi di assistenza»; senza appunto menzionare la determinazione con cui quei programmi miravano anche a liberare la società dal peso del «materiale umano scadente». Si trattava, insomma, di programmi non privi nella pratica di risvolti autoritari, come era forse conseguenza inevitabile di un socialismo fortemente statalista, animato da una marcata diffidenza nei confronti della soggettività individuale. Quel socialismo si assegnava infatti il compito di intervenire dentro la sfera privata dei singoli. Non a caso Alva Myrdal partecipò alla progettazione di un modello abitativo di tipo collettivista, che puntava a regolare le aree più private della vita familiare, con la messa in comune di cucine, servizi e spazi per il tempo libero, nonché con la presenza di figure appositamente addette all' alimentazione e all' educazione dei bambini. In uno «slancio taylorista-totalitario», come lo definisce Dotti, il progetto arrivava a prescrivere quanto tempo ciascuno avrebbe dovuto impiegare nelle varie attività collegate alla vita domestica. 
Negli anni Settanta la modifica delle norme sulla sterilizzazione, sopravvissuta da allora nell' ordinamento svedese soltanto come misura effettivamente volontaria, fu la conseguenza di decisivi mutamenti nel frattempo intervenuti entro l' intera società riguardo al modo di concepire la malattia mentale e il disagio sociale. I malati, gli emarginati, in genere gli individui in difficoltà erano diventati soggetti da aiutare; non venivano più visti, dunque, come potenziali minacce che la società doveva neutralizzare attraverso la sterilizzazione. 
Si chiudeva così una esperienza che aveva mostrato quanto, anche nei regimi democratici, possa diventare pericolosa una politica che non si assegni dei limiti, che non dovrebbe essere lecito varcare neanche nella prospettiva, destinata a rivelarsi un' illusione, di fare in tal modo il superiore interesse di tutta la società. Il saggio di Luca Dotti, «L' utopia eugenetica del welfare state svedese (1934-1975)», è pubblicato da Rubbettino, pagine 325, euro 22 Una pubblicità della fine degli anni Trenta apparsa sul giornale svedese dei produttori di latte. Lo slogan dice: «L' obiettivo è una razza più sana... diventiamo tutti uomini A!» La crisi demografica e una razza migliore I coniugi svedesi Gunnar e Alva Myrdal, entrambi premi Nobel (lui per l' Economia nel ' 74 e lei per la Pace nell' 82), furono autori di un libro sulla crisi demografica svedese che orientò la socialdemocrazia e l' opinione pubblica verso l' eugenetica

da un articolo di Belardelli Giovanni

venerdì 25 novembre 2011

Quello che le donne italiane non sanno.

L'Italia è un grande Paese produttore di creatività, talento e flessibilità, ma queste risorse non riescono a essere coltivate e incanalate nella direzione auspicabile e utile a creare vantaggi competitivi per il bene collettivo. Ma quando si analizzano queste carenze, si tende una dimensione molto importante: il ruolo ancora marginale che le donne hanno nell'economia e nella leadership del Paese. Il tasso di occupazione femminile italiano è tra i più bassi al mondo.
In Italia non solo le donne lavorano poco, ma quando lo fanno non riescono a raggiungere posizioni di rilievo: la percentuale delle dirigenti d'impresa non raggiunge il 5%. Le lavoratrici italiane percepiscono in media un reddito stimato inferiore, tra il 10% e il 30%, a quello dei lavoratori. Fortunatamente non in tutti i Paesi il ruolo delle donne è marginale, basti volgere lo sguardo alla Svezia che ha sempre avuto un'alta partecipazione delle donne al mercato del lavoro, in cui i tassi di attività e di occupazione femminili superano il 70%.
Perchè questa sostanziale differenza tra Italia e Svezia? I motivi sono molteplici; infatti la parità dei sessi viene spesso intesa come una questione di diritti politici e sociali mentre la politica svedese per l'eguaglianza dei sessi si basa su una forte tradizione a favore della natalità e del sostegno sociale.
In Svezia l'elevata natalità non pregiudica il tasso di occupazione femminile, che anzi si attesta ai vertici delle classifiche europee; la donna sposata è coperta dalla stessa legislazione lavorativa, fiscale e assicurativa degli uomini. Nessun beneficio è accordato alla donna per il suo ruolo di moglie ed inoltre il tasso di disoccupazione delle donne è inferiore a quello degli uomini.
La politica sociale svedese ha riconosciuto da lungo tempo il doppio ruolo della donna come madre e come sostenitrice della famiglia. L'eredità demografica ed economica della politica svedese per l'eguaglianza dei sessi è di particolare importanza in quanto l'Europa deve affrontare la sfida dei tassi di natalità in diminuzione e dell'invecchiamento demografico.
Di massima importanza, è che il tasso di natalità più alto deve essere accompagnato dalla libertà di scelta della donna e che la politica demografica deve riconoscere le donne lavoratrici come "fatto sociale". Questa capacità di aver saputo combinare la politica demografica e il femminismo contribuisce a spiegare il successo ottenuto dalla politica paritaria svedese.
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mercoledì 23 novembre 2011

Gli svedesi preferiscono le brune

Se il tema può prestarsi al sorriso, in Svezia, si affrontano questi stereotipi con un po’ più di serietà. In Svezia, infatti, si dà la colpa di questa immagine della bionda tutt’altro che timida, la televisione, la cultura, ma anche la pubblicità. «Il biondo e la magrezza sono delle caratteristiche fisiche che la televisione e le riviste di oggi elogiano in continuazione. Tuttavia, la maggior parte delle donne nel mondo non sono bionde e provano a tingersi i capelli. È possibile che sia questo “effetto naturale” a suscitare l’invidia delle altre donne», spiega Tiina Rosenberg, professoressa di sociologia e specialista di studi di genere all’università di Lund (Svezia).

Le svedesi sarebbero dunque invidiate dalle donne, che cercano disperatamente di assomigliargli, e desiderate dagli uomini che le vedono come delle bellezze non artificiali? Eppure, Tiina non rinuncia a ricordare un altro paradosso: «Nei Paesi dove ci sono più bionde, cioè in Europa, la “bionda” è spesso considerata come una stupida. In Svezia per esempio, si pensa immediatamente che una donna bruna sia più intelligente! Abbiamo anche noi i nostri luoghi comuni». E questi stereotipi, più o meno degradanti, irritano le svedesi. «Non scherzo quando dico che mi faccio rimorchiare non appena accenno la mia nazionalità! E a volte questo m’infastidisce. Ho spesso l’impressione che basti dire “svedese” perché i ragazzi immaginino che sia già in pugno!».

Sì in effetti, le svedesi possono essere alte, bionde ed intraprendenti. Ma passeggiando per le strade di Stoccolma , è molto probabile che vi imbattiate in brunette basse e molto timide! Un esempio è Annika: una mia conoscente ha vent’anni e attualmente vive a Roma per un anno di Erasmus. Non appena arrivata a Roma, Annika ha fatto in breve tempo i conti con gli stereotipi che possono avere gli italiani nei confronti delle svedesi! «Quando sono arrivata nel mio alloggio italiano, ero l’attrazione dei ragazzi. Pensavano di vedere sbarcare una festaiola poco timida e credo di averli un po’ delusi! Il fatto è gli italiani che ci provano non capiscono: noi vogliamo solo divertirci in vacanza o in Erasmus e in nessun caso sedurli ad ogni costo. Da noi, non si può acquistare alcol, per esempio, allora quando viaggiamo, ne approfittiamo al massimo, e qualche volta ci si lascia un po’ troppo andare!».

Durante la discussione con Annika cerco come sempre di dare "un colpo al cerchio ed uno alla botte,"ma non posso fare a meno di pensare con una punta di tristezza che:
Più i pregiudizi sono idioti, più sono difficili da sdradicare.



lunedì 21 novembre 2011

Parte-Nopei e Parte-Svedesi

Ecco i furbetti del fai-da-te:  Diciassette dipendenti infedeli dell’azienda svedese applicavano le targhette con la scritta "difettato" sui mobili e li vendevano col 70% di sconto a parenti e amici. Incastrati dai video.

L’«angolo delle occasioni» dei negozi Ikea, prima ancora di essere un luogo fisico, è un «deposito» dell’anima; dove lui e lei che - fino a un secondo prima - hanno litigato furiosamente su tutto, si rasserenano miracolosamente, come se si trovassero sulla montagnetta di Medjugorje: non a caso gli sconti praticati nell’«angolo delle occasioni» sono talmente alti che qualcuno li definisce, in modo blasfemo, «sconti della Madonna».

Attratti forse da questa dimensione «mistica» (che però gli inquirenti tenderebbero ad escludere ndr), un gruppo di impiegati «infedeli» dell’Ikea di Afragola (Napoli) avevano pensato bene di allargare, a dismisura, l’«angolo delle occasioni». Obiettivo: favorire parenti ed amici praticando loro sconti fino al 70%. Il giochetto era ingegnoso nella sua facilità (o facile nella sua ingegnosità, fate voi...): il parente o l’amico sceglieva la merce da acquistare e il complice Ikea, con un colpo di clic sul computer, inseriva il prodotto nel settore «angolo delle occasioni» (quello cioè riservato agli articoli «fallati» o «difettati»). Insomma, la furbata (leggesi, truffa) consisteva nell’applicare la dizione «fallato» o «difettato» a merce perfettamente integra che però, grazie a quel cartellino taroccato, veniva venduto a meno della metà del prezzo reale.

La dinamica dell’imbroglio era descritta ieri, con dovizia di particolari, su Il Mattino di Napoli che titolava: «All’Ikea truffa dei maxisconti ad amici e parenti: indagati 17 dipendenti». Diciamo subito che - se l’«inghippo» è venuto fuori quasi in tempo reale - il merito è proprio dei vertici dell’aziendali parte-nopea e parte-svedese che, appena sentito puzza di bruciato, hanno chiamato i pompieri, anzi i carabinieri. Di lì una serie di indagini e appostamenti che hanno incastrato la banda dei «prezzi stracciati»; ora, per tutti i 17 componenti della gang, c’è un bel avviso di garanzia con l’ipotesi di concorso in truffa aggravata ai danni di Ikea.

«Decisive le immagini ricavate all’interno del megastore alle porte di Napoli - racconta Il Mattino -. Semplice ma efficace il metodo usato: codici e parole d’ordine che deprezzavano i prodotti da vendere. Bastava così cambiare il codice e far risultare che un mobile era “senza vitiera“ o “in non perfette condizioni“, quindi farlo slittare in una sezione del negozio chiamata appunto “angolo occasioni“»; il tutto «mediante artifici e raggiri, consistiti nella fraudolenta sostituzione dell’etichetta di sconto».
Fondamentale - come già detto - la denuncia dei vertici dell’azienda Società Ikea Italia srl e l’acquisizione di alcuni filmati che immortalerebbero almeno una ventina di «manipolazioni» sospette. Ampia la casistica che sarebbe stata utilizzata dai presunti dipendenti infedeli: si va dalla formula «non in perfetto stato», all’articolo irrimediabilmente bollato come «rovinato». Sconti da capogiro, in alcuni giorni c’era la fila all’esterno di una sezione di Ikea, tutti in fila, ognuno con il proprio piccolo compitino da portare a casa. Un direttore alle vendite, qualche impiegato alla recovery, poi addetti alle vendite. In diciassette a finire sotto inchiesta, «tutti identificati mediante personale della sicurezza Ikea», si legge in calce all’informazione di garanzia appena notificata.

E non è tutto. «Le indagini - assicurano gli inquirenti - vanno avanti nel tentativo di risalire anche ad altri potenziali responsabili di un giro d’affari organizzato alle spalle del colosso svedese».

Come dire, l’affare si ingrossa: montarlo non è stato facile, ma smontarlo sarà ancora più arduo. Come nel caso di un cucina Stat; della linea Ikea, ovviamente. 

källa: il giornale  (Nino Materi)

venerdì 28 ottobre 2011

Il lupo è la radura dell'anima umana ...

Questa notte voglio riportarvi un brano tratto dal libro che sto leggendo, non aggiungerò commento, non credo sia necessario...
"Un giorno portai come al solito Brenin con me all'allenamento di rugby. Aveva circa due mesi ed era il periodo un cui aveva preso l'abitudine di tormentare Rugger, al quale non era per niente simpatico. Dopo un po' Rugger perse la pazienza, afferrò Brenin per il collo e lo inchiodò a terra. Va ascritto a suo grande merito il fatto di essersi limitato a questo. avrebbe potuto spezzare il piccolo collo di Brenin come un ramoscello. Perfino un pit bull puo' superare l'esame di Kundera. Ma è stata la reazione di Brenin quella che mi rimarrà per sempre dentro. La maggior parte dei cuccioli si sarebbe messa a guaire per lo shock e il terrore. Brenin ringhiò. E non era il brontolio di un cucciolo, ma un ringhio profondo, calmo e sonoro in contrasto con la sua tenera età. Questa è forza. Ed è questo che ho sempre cercato di portare con me e che spero di portare con me per sempre. In quanto scimmia, non sarò all'altezza, ma ho l'obbligo, l'obbligo morale, di non dimenticarlo mai e di emularlo per quanto mi è possibile [...] nei miei momenti migliori sono un cucciolo di lupo e ringhio la mia sfida al pit bull che mi ha inchiodato a terra. Il mio ringhio è riconoscere il fatto che sta per arrivare il dolore, perché il dolore è la natura della vita. E' ammettere che sono solo un cucciolo e che, in qualsiasi momento, il pit bull della vita puo' spezzarmi il collo come un ramoscello. Ma è anche l'espressione della mia volontà di non cedere, succeda quel che succeda."
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Chi è Mark Rowlands:
Mark Rowlands, giovane e inquieto docente di filosofia in un'università americana, legge per caso su un giornale una singolare inserzione, si incuriosisce e risponde. Qualche ora dopo è il padrone felice di un cucciolo di lupo, a cui dà nome Brenin ("re" in gallese antico). Per undici anni, sarà lui la presenza più importante nella vita del professore, che seguirà ovunque: assisterà alle sue lezioni acciambellato sotto la cattedra, incurante degli iniziali timori e del successivo entusiasmo degli studenti, ne condividerà avventure, gioie e dolori, lo accompagnerà nei suoi spostamenti dall'America all'Irlanda alla Francia, dove Mark si trasferisce dopo aver troncato quasi ogni legame con i suoi simili. E sarà, soprattutto, una fonte continua di spunti di riflessione e idee filosofiche perché, contrariamente allo stereotipo che ne fa un emblema del male, della ferocia, del lato oscuro dell'umanità, il lupo è per Rowlands metafora di luce e di verità, la guida per un viaggio interiore alla scoperta della propria più intima e segreta identità: "Il lupo è la radura dell'anima umana ... svela ciò che rimane nascosto nelle storie che raccontiamo su noi stessi". La sua natura selvaggia e indomabile, infatti, rivela a chi gli sta accanto un modo di vivere e di fare esperienza del mondo non solo radicalmente diverso da quello degli uomini, ma forse anche più autentico e appagante perché immune da doppi fini, da ogni atteggiamento di calcolo e manipolazione.
Buon vita a tutti da nonno Franco

martedì 25 ottobre 2011

Spazza Tour

Cari  amici lettori dopo aver saputo che i turisti giapponesi si fanno le foto accanto a mucchi di inmondizia come ricordo di Napoli. Voglio proporvi  ancora un post sulla ”monnezza napoletana” che  se non fosse un’immane tragedia, potrebbe anche farci ridere, come nella migliore tradizione del teatro napoletano, qui purtroppo c`è poco da ridere. Napoli è davvero una città sui generis. Quando reputa che alcuni problemi siano irrisolvibili, o si affida a San Gennaro o li «utilizza» per esercitare la propria fantasia. Tutti (soprattutto gli stranieri) applaudono a queste sue invenzioni (la famosa arte di arrangiarsi), ma intanto i problemi restano. Così, invece di armarsi di pale e di scope per rimuovere i cumuli di rifiuti rimovibili (non parlo dei K2 di immondizia; per quelli ci vorrebbero macchinari da fantascienza anni '50) qualcuno si organizza e porta in giro i giapponesi a fotografarli (cosiddetto «Spazza Tour», moderna versione del Grand Tour settecentesco), e i giapponesi sono fuori di se dalla gioia, abbagliando di flash la sporcizia nostrana, quasi fosse una diva del cinema hollywoodiano.
Altri montano presepi fatti con l'immondizia, modellano sculture composte da sacchetti della Nettezza Urbana, allestiscono mostre che hanno per soggetto i rifiuti. E questi sono gli slogan: «La munnezza è il nostro orgoglio. Non lasciarla bruciare. Non fartela fregare. Al Bad Museum la tua munnezza diventa opera d'arte ed avrà più valore perchè… la munnezza sei tu». Provocazione, dicono. Sia pure, ma sa tanto di autocompiacimento. E così è naturale che atterri in città il grande scultore e pittore britannico (Damien Hirst) per vedere quest' «arte» e toccare con mano l'emergenza. E il grande artista britannico, davanti alla monnezza verminosa eruttata dai cassettoni ormai invisibili, vittime della loro stessa debordante sporcizia spinta fino in mezzo alla strada (scorze, gusci di cozze, cortecce di mellone, incartate di cape di alici, conserva, pomodori scamazzati, et coetera et coetera), Domenico Rea si scioglie quasi in lacrime (di gioia) ed eleva il suo inno dadaista, surrealista, pop art (fate voi): «Grande Napoli! Quello che mi piace di più di questa città è la sua sporcizia. Che è lo specchio della società moderna. Napoli è un grande stimolo per gli artisti».
Un tempo il nemico si chiamava Spagnolo, Alemanno, e contro questo nemico la città (o una parte d'essa) si armava: la Storia ha chiamato quei momenti «rivolta di Masaniello» e «Quattro Giornate». Contro i Borbone si levò un gruppo di intellettuali: la plebe era troppo ignorante per capire, e la repubblica finì i suoi (pochi) giorni a piazza Mercato, Grève napoletana, luogo di esecuzioni capitali. Contro i tedeschi, guidato dal colonnello Sholl, furono gli scugnizzi a dar man forte alla popolazione adulta. Ben presto, senza istruttori, impararono come si manovrava una mitragliatrice o un panzerfaust rubato al nemico. Tanti piccoli eroi anonimi. Robert Capa ne immortalò due su tutti: sigaretta Camel alle labbra e fucili più grandi di loro appoggiati alle spalle.
Ora tacciono grandi e piccini. I grandi, per paura (della camorra) e per collusione (con la classe politica, in parte responsabile dello scempio); i piccoli, perchè a loro della munnezza sembra non fregargliene niente: attraversano velocemente i vicoli della città a bordo dei loro roboanti motorini, per farsi ammirare facendo «il cavallo», o per scippare una povera vecchierella.


Al tempo di Bassolino, gran distributore di prebende, ricchi premi e cotillon, nessun intellettuale levò la voce per una sua dimissione, reclamata pure dagli alieni dell'ammasso globulare M3; oggi fanno professione di pessimisti («Ahinoi, così così vanno le cose, c'è ben poco da fare»), o peggio scaricano le colpe sul governo Berlusconi.
E il popolo si è arreso, come davanti a una delle tante inevitabili calamità della sua storia. Da noi, infatti, c'è per un'antica familiarità con la sciagura (terremoti, eruzioni, pestilenze, formazioni di nuove terre, bradisismi eccetera) una pressochè totale sfiducia nelle nostre forze e in quelle dei nostri simili: una resa senza condizioni alla Fatalità. È tipico delle nostre genti, avvistando la malasciorta (la cattiva fortuna) sfiduciarsi, lasciarsi andare e sospirare: «Ce sta poco a fa'. E' destino». Scriveva Croce che al solo apparire dell'esercito francese, «che forse, con calma e riflessione sarebbe stato respinto», il capitano borbone gridò: «Guagliò, fujmmo!».


Dice bene Domenico Starnone quando afferma che «la gente non si dà da fare semplicemente perchè ha paura della camorra»; dice bene Adolfo Scotto di Luzio quando sostiene che «la società civile non reagisce al degrado perchè è collusa con la politica». Ma queste non sono le uniche ragioni per spiegare l'inerzia napoletana. La realtà è che non è ancora finito il tempo dei palleggi di responsabilità, dello scarica-barile (di monnezza) fra le autorità, e che non si troverà soluzione fino a quando non si troverà coralità, unità di intenti e di passione civile.
E infine più senso civico. La Madre di tutte le Emergenze. Il problema irrisolto dal IX secolo a.C. Anno di fondazione della città.   
di Marcello D'Orta



lunedì 24 ottobre 2011

"Il Cerchio Della Vita"

Sono tornato in Svezia per festeggiare il compleanno della mia nipotina, così ci sono rimasto quattro settimane in questo mio appartamentino da solo, a riflettere di come è cambiata la mia vita dal mese di luglio dell´anno scorso. Quando ho perso mia moglie complice delle mie fantasie. Male incurabile e mesi di sconforto a seguire era vero amore, costruito in 40 anni di fiduciosa attesa. 2 figli adorabili… era la felicità che costruivamo giorno per giorno, coscienti di essere felici. Lo so che metto tristezza ma ho il conforto di avere avuto tanto dalla vita.

Ma la vita fa strani percorsi…ed io sono un uomo fortunato,tra le tante telefonate con le solite frasi di rito che ricevevo dall`Italia, una mi fa sobbalzare sulla sedia è Lei la mia prima fidanzatina 15_lei, 17_io. Anche qui frasi di rito, ed anche Lei è vittima dello stesso destino… (5_anni prima.)   Il destino, il fato, gli astri, il karma…ma   che ne so! Quando sembrava che la vita non aveva più niente da offrirmi è apparsa all’improvviso. Sentiva le mie emozioni, sentiva che io la pensavo. Lui era il mio angelo custode. E mi ha trovato.
Adesso devo ritornare in Italia, strano non mi sono mai sentito così emozionato, sto viaggio, me lo sento addosso,dolce peso che mi “sbatacchia” a destra e a sinistra,un turbine di sentimenti. Chissà cos’è, forse il tempo che passa inesorabile, la paura e la speranza del domani, questo feeling di trovarmi sospeso tra questi due mondi che a volte sono irreconciliabili. 
La gioia indescrivibile che provo in Svezia quando rivedo i miei cari.immergermi di nuovo nella vita che ho fatto per 40_anni è diversa si, ma ha lo stesso sapore e lo stesso profumo di questo meraviglioso autunno,e poi il sottile dolore che sento quando devo ripartire dall`Italia, non devo pensare, o almeno cercare di non farlo, perché fa male quel dolore sottile, quando devi venir via da dove hai lasciato te stesso com’eri da ragazzo. 
Mannaggia  alla distanza, anche oggi con tanto di prenotazioni elettroniche, e solo un click dalla meta…Le maledette complicazioni della vita che ci impediscono di, aprirci, “provare”, senza nessun timore, privi della rabbia che ci consuma perché siamo così impotenti anche se dovremmo, essere liberi. 
Che illusione la libertà, che ci sfugge da sotto il naso perché in realtà non esiste per nessuno. Va bene allora mi sento pronto, parto, spero…ma sarà vera questa voglia di Italia o mi troverò un’altra volta solo a Ciampino con un trolley in mano?  Vale la pena d`agganciarsi al passato, o resti solamente scottato, e poi…e poi.  Continua, la vita, finché và.  Io sono forte e pronto (credo) ad affrontare il mio vecchio mondo. Allora prendimi, Italia, fammi rivivere le storie di un tempo, ma attenta a quando mi ricaccerai al di là delle alpi.  Forse non ce la farò a sopravvivere stavolta. 
Attenta, Italia, non tradirmi un`altra volta. ...hooo mi senti...?


Attenzione

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Sono andato, tornato, ripartito.

Sono andato, tornato, ripartito.
E così ora sono qui, in un’altra fase della Vita. Abito vicino al ponte Västerbron, a forma di arpa. E’ bellissimo. La mia gratitudine è a scoppio molto ritardato. Faccio in tempo a dimenticare gli atti, i nomi e i volti prima di aver capito quando dovessi ad ognuno.