Questo
volumetto l`ho comprato a Roma-Ciampino, mentre aspettavo che la “fedele” Ryanair mi riportasse a Stoccolma. È una
raccolta di racconti di Dino Buzzati che non conoscevo, l`ho letto tutto di un
fiato, le righe scivolano via fluide e veloci, degne di un grande
scrittore. Una novella in particolare -
breve, ma intensa – credo scritta di getto,spontanea, con parole che ti
attraversano l`animo ancor prima che tu riesca a ripensarle. S'intitola "Inviti superflui", il
racconto ci aiuta a capire che la felicità
parte da noi e finisce con noi, non ha bisogno di beni materiali in quanto
effimeri ed è quella felicità a cui tutti noi aspiriamo.
Vorrei che
tu venissi da me in una sera d'inverno e, stretti insieme dietro i vetri,
guardando la solitudine delle strade buie e gelate, ricordassimo gli inverni
delle favole, dove si visse insieme senza saperlo. Per gli
stessi sentieri fatati passammo infatti tu ed io, con passi timidi, insieme
andammo attraverso le foreste piene di lupi, e i medesimi genii ci spiavano dai
ciuffi di muschio sospesi alle torri, tra svolazzare di corvi.
Insieme, senza saperlo, di là forse guardammo entrambi verso
la vita misteriosa, che ci aspettava.Ivi palpitarono in noi per la prima volta
pazzi e teneri desideri. "Ti ricordi?" ci diremo l'un l'altro,
stringendoci dolcemente, nella calda stanza, e tu mi sorriderai fiduciosa
mentre fuori daran tetro suono le lamiere scosse dal vento.
Ma tu - ora mi ricordo - non conosci le favole antiche dei re senza nome, degli orchi e dei giardini stregati. Mai passasti, rapita, sotto gli alberi magici che parlano con voce umana, né battesti mai alla porta del castello deserto, né camminasti nella notte verso il lume lontano lontano, né ti addormentasti sotto le stelle d'Oriente, cullata da piroga sacra. Dietro i vetri, nella sera d'inverno, probabilmente noi rimarremo muti, io perdendomi nelle favole morte, tu in altre cure a me ignote. Io chiederei "Ti ricordi?", ma tu non ricorderesti.
Vorrei con
te passeggiare, un giorno di primavera, col cielo di color grigio e ancora
qualche vecchia foglia dell'anno prima trascinata per le strade dal vento, nei
quartieri della periferia; e che fosse domenica. In tali contrade sorgono
spesso pensieri malinconici e grandi, e in date ore vaga la poesia congiungendo
i cuori di quelli che si vogliono bene.
Nascono
inoltre speranze che non si sanno dire, favorite dagli orizzonti sterminati
dietro le case, dai treni fuggenti, dalle nuvole del settentrione. Ci terremo
semplicemente per mano e andremo con passo leggero, dicendo cose insensate,
stupide e care. Fino a che si accenderanno i lampioni e dai casamenti squallidi
usciranno le storie sinistre delle città, le avventure, i vagheggiati romanzi.
E allora noi taceremo, sempre tenendoci per mano, poiché le anime si parleranno
senza parola.
Ma tu -
adesso mi ricordo - mai mi dicesti cose insensate, stupide e care. Né puoi
quindi amare quelle domeniche che dico, né l'anima tua sa parlare alla mia in
silenzio, né riconosci all'ora giusta l'incantesimo delle città, né le speranze
che scendono dal settentrione. Tu preferisci le luci, la folla, gli uomini che
ti guardano, le vie dove dicono si possa incontrar la fortuna. Tu sei diversa
da me e se venissi quel giorno a passeggiare, ti lamenteresti di essere stanca;
solo questo e nient'altro.
Vorrei
anche andare con te d'estate in una valle solitaria, continuamente ridendo per
le cose più semplici, ad esplorare i segreti dei boschi, delle strade bianche,
di certe case abbandonate. Fermarci sul ponte di legno a guardare l'acqua che passa,
ascoltare nei pali del telegrafo quella lunga storia senza fine che viene da un
capo del mondo e chissà dove andrà mai. E strappare i fiori dei prati e qui,
distesi sull'erba, nel silenzio del sole, contemplare gli abissi del cielo e le
bianche nuvolette che passano e le cime delle montagne.
Tu diresti
"Che bello!". Niente altro diresti perché noi saremmo felici; avendo
il nostro corpo perduto il peso degli anni, le anime divenute fresche, come se
fossero nate allora. Ma tu - ora che ci penso - tu ti guarderesti attorno senza
capire, ho paura, e ti fermeresti preoccupata a esaminare una calza, mi
chiederesti un'altra sigaretta, impaziente di fare ritorno.
E non
diresti "Che bello! ", ma altre povere cose che a me non importano.
Perché purtroppo sei fatta così. E non saremmo neppure per un istante felici.
Vorrei pure - lasciami dire - vorrei con te sottobraccio attraversare le grandi
vie della città in un tramonto di novembre, quando il cielo è di puro
cristallo. Quando i fantasmi della vita corrono sopra le cupole e
sfiorano la gente nera, in fondo alla fossa delle strade, già colme di
inquietudini. Quando memorie di età beate e nuovi presagi passano sopra la
terra, lasciando dietro di sé una specie di musica.
Con la
candida superbia dei bambini guarderemo le facce degli altri, migliaia e
migliaia, che a fiumi ci trascorrono accanto. Noi manderemo senza saperlo luce
di gioia e tutti saran costretti a guardarci, non per invidia e malanimo; bensì
sorridendo un poco, con sentimento di bontà, per via della sera che guarisce le
debolezze dell'uomo. Ma tu - lo capisco bene - invece di guardare il cielo di
cristallo e gli aerei colonnati battuti dall'estremo sole, vorrai fermarti a
guardare le vetrine, gli ori, le ricchezze, le sete, quelle cose meschine. E non
ti accorgerai quindi dei fantasmi, né dei presentimenti che passano, né ti
sentirai, come me, chiamata a sorte orgogliosa. Né udresti quella specie di
musica, né capiresti perché la gente ci guardi con occhi buoni.
Tu
penseresti al tuo povero domani e inutilmente sopra di te le statue d'oro sulle
guglie alzeranno le spade agli ultimi raggi. Ed io sarei solo. È inutile. Forse
tutte queste sono sciocchezze, e tu migliore di me, non presumendo tanto dalla
vita. Forse hai ragione tu e sarebbe stupido tentare. Ma almeno, questo sì
almeno, vorrei rivederti. Sia quel che sia, noi staremo insieme in qualche
modo, e troveremo la gioia. Non importa se di giorno o di notte, d'estate o
d'autunno, in un paese sconosciuto, in una casa disadorna, in una squallida locanda.
Mi basterà averti vicina. Io non starò qui ad ascoltare - ti
prometto - gli scricchiolii misteriosi del tetto, né guarderò le nubi, né darò
retta alle musiche o al vento. Rinuncerò a queste cose inutili, che pure io
amo. Avrò pazienza se non capirai ciò che ti dico, se parlerai di fatti a me
strani, se ti lamenterai dei vestiti vecchi e dei soldi. Non ci saranno la cosiddetta poesia, le comuni
speranze, le mestizie così amiche all'amore. Ma io ti avrò vicina.
E
riusciremo, vedrai, a essere abbastanza felici, con molta semplicità, uomo con
donna solamente, come suole accadere in ogni parte del mondo. Ma tu - adesso ci
penso - sei troppo lontana, centinaia e centinaia di chilometri difficili a
valicare. Tu sei dentro a una vita che ignoro, e gli altri uomini ti sono
accanto, a cui probabilmente sorridi, come a me nei tempi passati. Ed è bastato
poco tempo perché ti dimenticassi di me. Probabilmente non riesci più a
ricordare il mio nome. Io sono ormai uscito da te, confuso fra le innumerevoli
ombre. Eppure non so pensare che a te, e mi piace dirti queste cose.
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