Leggo sul “Corriere” a firma prestigiosa di Arrigo Levi -
“Il vizio nazionale dell'autoflagellazione” - la tendenza, che l’ottimo Levi
biasima, dei connazionali all’autoflagellazione, anche perché secondo il
giornalista « né i francesi né gli inglesi o i tedeschi, gli americani o i
russi, parlano così male del loro Paese come noi italiani del nostro». In
precedenza Levi aveva raccontato che, essendo stato al seguito di ben due
Presidenti della Repubblica, aveva approntato per loro dei ricchi dossier e
incontrato magistrati, sindaci e prefetti, vescovi e sindacalisti, concludendo:
« Sono ancora convinto che io, e alcuni amici che hanno condiviso la mia stessa
esperienza, abbiamo acquisito un'immagine dell'Italia più documentata di
chiunque altro, scoprendo intatta la ricchezza di cultura, l'operosità e le
doti civili delle nostre cento città».
Ora, io ritengo che il difetto stia proprio nel punto di osservazione prescelto. Dal punto di vista delle Eccellenze e delle Eminenze, degli stucchi e dei tappeti rossi - dove l’aria delle élite è tanto rarefatta da non avvertire i miasmi delle paludi in cui si combatte la minuta lotta per la vita-, difficile è avere il chiaro sentore di cosa è diventato per molti italiani, né complici né colpevoli dei vizi nazionali, il semplice tentativo di affermarsi secondo principi di correttezza e lealtà. Affermazione di sé costantemente avvilita e frustrata da una pletora di connazionali furbi e sleali spalleggiati da poteri talora semplicemente informali e talaltra del tutto inconfessabili. A questi livelli di lotta per la vita, più forte si respira il tanfo della corruzione dei costumi accumulatasi nel tempo che pervade ogni anfratto della vita sociale, politica e amministrativa, e alla cui alimentazione hanno sicuramente contribuito in egual misura certamente l’inerzia dei molti e la complicità di altrettanti.
La difficoltà di vivere a stretto contatto con
connazionali furbi e sleali oltre ogni immaginazione ha tolto il respiro a
molti, agli esclusi certamente sempre più numerosi, alle vittime di questo
gioco al massacro diventato sempre più crudele man mano che le risorse
economico-sociali si sono assottigliate, fino a sembrare l'intera vita
collettiva uno sgomitare continuo da “assalto al forno” senza regole fuorché
quelle dei gomiti piantati sui fianchi. Basterebbe segnalare al bravo
giornalista Arrigo Levi quella pagina dell’altrettanto bravo Luigi Barzini ne
“Gli italiani” (già nel 1965!) quando, dopo aver osservato molti comportamenti
“all’italiana” commentava: « Forse per noi non c'è scampo. Ed è questa
sensazione di essere in trappola entro i limiti inflessibili delle tendenze
nazionali a far si che la vita italiana, sotto la sua superficie scintillante e
vivace, abbia una qualità fondamentale di amarezza, disappunto, e infinita
malinconia».
Källa:
CassinaPD di Alfio.