Dopo il fenomeno Larsson, dalla Svezia un diluvio di
romanzi criminali componibili e intercambiabili come gli scaffali della catena
scandinava Se fino a poco tempo fa
“credevano nel design, ma amavano gli gnomi”, come sintetizza poeticamente Nanni Delbecchi nel
suo
“Il signor Ikea” sembra che oggi gli svedesi non facciano altro che
scrivere gialli, leggere gialli ed esportare gialli.
Sarà che
magari non sono mai guariti, dal 1986. Perché i nordici, si sa, non sono mica
come noi, non sono abituati, almeno in tempi recenti, ai misteri, agli intrighi
e agli omicidi immotivati. E alla fine anche se si trova la soluzione, la
macchia di sangue, grande o piccola che sia, non se ne va. Tu la cancelli e lei
riappare, come nei mistery della migliore tradizione.
Il fatto è che dalla
morte violenta di Olof Palme, in Svezia i gialli hanno cominciato a
proliferare. Non che prima nessuno ci si fosse cimentato. Ma ai nostri non va
giù che sono scaduti (nel 2011) i venticinque anni che il codice penale
del paese concede alle istruttorie e siamo ancora in alto mare: il processo più
lungo e costoso mai affrontato in Svezia e la condanna all’ergastolo di un
sospetto poi prosciolto in appello non hanno saziato l’ansia indagatoria che ha
ipnotizzato gli svedesi di fronte alla morte di un primo ministro assassinato
in pieno centro di Stoccolma, delitto di cui non è stata trovata nemmeno
l’arma.
“L’ambizione della Svezia di essere il paese del welfare è morta con
Palme" . dice Leif G. W. Persson, anche lui autore di una
trilogia deckare.(trad: Racconto criminale)
In una recente intervista ha dichiarato:
Per
scrivere del `assassinio di Palme (“The end of Welfare State”, ndr) ho
dovuto scalare sei stanze piene di montagne di carta. "Oggi tutto
quello che pensiamo della Svezia è idealizzato” .Ha
aggiunto schiettamente Persson:
“Anche io prima di venire in Italia pensavo che tutto fosse come
nel "Rigoletto".
(diverse källor)