venerdì 4 giugno 2010
La sfida svedese...!
La prossima sfida che la Svezia si appresta ad affrontare è: salvare l'occupazione, aggiornare il catalogo delle libertà, stringere i rapporti con l'Europa
Questo è quanto afferma Mona Sahlin, 52 anni, parlamentare dal 198, ex ministra della giustizia,
è dal 17 marzo 2007 la nuova leader del Partito cialdemocratico svedese (Sap). È la prima volta, nonostante la tradizione progressista e femminista della Svezia, che una donna sale sul gradino più alto della forza politica che dal 1932 in poi ha governato ripetutamente il paese. Da almeno un decennio militanti ed elettori socialdemocratici chiedevano una donna al posto di comando. Alla fine degli anni '90, la ricerca di una nuova leadership si era indirizzata verso Anna Lindh, ex segretaria dei giovani del Sap, ministra degli esteri in carica quando fu assassinata da uno squilibrato il 3 settembre 2003 mentre faceva le compere nel grande magazzino Nordiska di Stoccolma. Era lei che avrebbe dovuto guidare il partito nelle elezioni del 2006, quando è invece toccato nuovamente al sessantenne Göra Persson - premier dal 1994 per tre legislature - tentare l'ennesima conferma contro il quarantenne Fredrik Reinfeldt, l'attuale premier che guida un governo imperniato sull'alleanza tra centristi, moderati e liberali.
Il problema per i socialdemocratici svedesi negli ultimi anni non era ovviamente solo quello di mutare leadership e di collocare una donna al vertice, anche se il valore simbolico di questa scelta non va trascurato. In Scandinavia, la sinistra socialdemocratica governa attualmente solo in Norvegia e ha perso le elezioni anche in Finlandia. Nuove idee e nuove politiche sono perciò da tempo all'ordine del giorno dei socialisti di Stoccolma.
Segnali di globalizzazione
La Svezia, con il referendum del 2003, ha rifiutato di adottare l'euro. La corona svedese è restata salda ( ca.uno a uno nel cambio con la moneta europea) fino alla bufera della recentissima crisi economica e finanziaria. In queste settimane anche l'economia di Stoccolma è travolta dalla crisi ed è in recessione, seppure minima, con la contrazione del Pil dello 0,1%. Il governo conservatore ha stanziato 25 miliardi di corone (2, 5 miliardi di euro), sotto forma di prestiti straordinari e garanzie sui crediti, per arginare la crisi nel settore dell'auto che ha colpito Saab e Volvo (20 mila lavoratori occupati). L'obiettivo di Anders Borg, ministro
delle finanze di Stoccolma che ha stabilito l'entità dell'intervento statale, è assicurarsi che i settori della ricerca e della produzione di Saab e Volvo rimangano in Svezia. Ma intanto 6 mila operai sono andati in cassa integrazione nell'impianto della Volvo di Göteborg. Anche la Skf, leader mondiale nel settore dei cuscinetti a sfera, ha annunciato una riduzione di organico che riguarderà almeno 2.500 lavoratori. La Electrolux, primo produttore di elettrodomestici in Europa e secondo al mondo, si prepara a tagliare oltre 3 mila posti di lavoro.
Come se queste notizie non bastassero ad allarmare i 9 milioni di abitanti della Svezia, lo scorso 16 dicembre la Commissione europea ha approvato il piano di emergenza di 225 milioni di corone che le autorità svedesi hanno concesso alla Carnegie Investment Bank. Il governo si è impegnato a fornire un piano di ristrutturazione di questa banca entro il 2010.
I problemi svedesi non sono tuttavia solo economici. Ciò che accade sul fronte sociale indica che la globalizzazione non risparmia neppure la Svezia. Gli scontri tra poliziotti e immigrati assomigliano terribilmente a quelli periodici nelle periferie di Parigi. L'immigrazione è un tema incandescente anche in un paese civilissimo che si vanta delle sue politiche di accoglienza e integrazione. Un milione di immigrati di prima generazione e il 20% del totale dell'intera popolazione composta da immigrati di seconda generazione sono un fenomeno da governare con sapienza, pena una frattura sociale dalle imprevedibili conseguenze.
A Stoccolma, come in altri paesi europei, affiora perfino la questione morale, un vero e proprio shock per un paese di cultura protestante (la stessa Moni Sahlin ha rischiato di veder finire la sua carriera politica nel 1995, quando usò la carta di credito di parlamentare per comprarsi una tavoletta di cioccolato). È sotto inchiesta l'Accademia svedese che assegna i premi Nobel. Uno dei giurati del Nobel della medicina di quest'anno faceva parte del Consiglio di amministrazione della Astra Zeneca, una delle case farmaceutiche che potrebbe ricavare benefici dalla ricerca premiata. La procura svedese indaga per accertare se la multinazionale con sede in Gran Bretagna abbia esercitato delle pressioni indebite sulla giuria. Altri giurati sono sotto pressione per analoghi sospetti (alcuni si sono dimessi). Si prospetta perciò - come un fulmine che fa barcollare una delle più rispettate istituzioni svedesi - la riforma del metodo di assegnazione dei Nobel.
Un rinnovamento indispensabile
Il Sap riparte dal 35% ottenuto nelle elezioni del 2006. La sconfitta di 5 anni fa ha delle similitudini con il vuoto lasciato da Olof Palme nel 1986 (il premier fu assassinato il 28 febbraio di quell'anno), preludio del ritorno al governo dei conservatori nel 1991, e con la crisi economica del 1990, quando per la prima volta in Svezia la disoccupazione raggiunse l'8,5%. In quel passaggio cruciale, i socialdemocratici riuscirono nel miracolo di tornare al governo nel 1994 e di riconvertire l'economia dell'acciaio e del legno verso settori a elevato contenuto tecnologico per l'export. Contemporaneamente, ci furono massicci investimenti nelle comunicazioni (il boom dei telefonini Ericsson), nell'informatica (è svedese l'invenzione del sistema di decodifica a banda larga) e nell'industria di salvaguardia dell'ambiente.
Grazie all'azione dei governi presieduti da Persson, l'eredità lasciata 5 anni fa al governo del conservatore Reinfeldt era davvero invidiabile: disoccupazione al 5%, spesa pubblica per l'istruzione pari al 7,8 del Pil (con il 4% destinato alla ricerca), 45 mila laureati ogni anno, spesa sanitaria e di protezione sociale pari al 33% del Pil, popolazione femminile attiva sul mercato del lavoro pari al 48%, alti tassi di natalità grazie alle politiche di sostegno a madri e padri, crescita annuale del Pil oltre il 3%. Mona Sahlin ha facile gioco nella polemica politica interna quando punta l'indice contro l'attuale governo che per uscire dalla crisi propone il taglio delle tasse e la riduzione delle tutele garantite dal welfare. Ma il problema dei socialdemocratici - avverte giustamente la loro leader - non si risolve esclusivamente con il richiamo alla propria nobile tradizione: il Sap deve saper indicare un progetto di rinnovamento della società svedese.
Fin dal discorso di investitura a leader del partito e a candidata a premier per le prossime elezioni del 2010, Mona Sahlin ha parlato della necessità di ritrovare il coraggio per «buttarsi in una nuova avventura politica», segnalando come priorità un rapporto più intenso con l'Unione europea. Si è infatti incrinata nel Sap la convinzione che si possa salvare il welfare svedese continuando a operare in un paese solo o al massimo di concerto con Norvegia, Danimarca, Finlandia e Islanda. Fino al 2006, sono stati più europeisti i conservatori che i socialdemocratici.
Altro obiettivo del nuovo corso è il mantenimento dei livelli di occupazione. «Il movimento socialdemocratico si è sempre basato sul diritto al lavoro per tutti, anche se oggi si chiedono condizioni di salario e di sicurezza più flessibili», ha detto più volte negli ultimi mesi Mona Sahlin. Per lei, è assolutamente necessaria la riqualificazione permanente della forza lavoro per raggiungere l'obiettivo di un mercato del lavoro dinamico e capace di guardare anche alle esigenze delle imprese. La principale differenza con i conservatori sta nell'idea che non si debba smantellare e deprimere il settore pubblico.
(vagabondo)
Reinventare la libertà
L'altro tema della nuova avventura socialdemocratica è l'aggiornamento della lotta per le libertà. «Oggi la libertà ha nuovi limiti, che non sono le deduzioni fiscali. La libertà moderna è avere la possibilità di sfidare le norme, di crearsi le proprie e di non avere ostacoli nelle decisioni individuali pur salvaguardando il diritto all'uguaglianza della comunità di cui si fa parte», ha detto Mona Sahlin nel discorso programmatico dopo l'elezione a leader del suo partito. Ne consegue che il pervasivo stato svedese, inventato dai socialdemocratici in quanto a diritti e doveri, deve fare qualche passo indietro rispetto al detto made in Sweden «il welfare ti accompagna dalla culla alla tomba».
Un altro tema decisivo è quello di tingere sempre più di verde l'economia e il welfare per ottenere nuovi posti di lavoro. Lotta contro il cambiamento climatico, fine della dipendenza dai combustibili fossili entro il 2020, ricerca sulle fonti energetiche alternative, certificazione ambientale per tutte le produzioni industriali sono il perno della nuova piattaforma dei socialdemocratici.
Infine, c'è il problema della democrazia nel partito. Mona Sahlin ha una netta convinzione: i tre governi consecutivi guidati da Persson avevano finito per far identificare il Sap con l'intero sistema politico. Da qui l'avvio di una discussione che ha costretto il partito a misurarsi con la sconfitta elettorale e con la perdita di appeal verso i settori più giovanili dell'elettorato. Per il rilancio del Sap, che resta un partito di massa con i suoi 125 mila iscritti, è ritenuto decisivo anche ritessere il tradizionale rapporto con il movimento sindacale (Lo), che in Svezia ha sempre costituito il più solido radicamento sociale ed elettorale dei socialdemocratici.
Il «modello svedese» dei tempi di Tage Erlander e Olof Palme, fatto di neutralismo attivo in politica estera e di uno stato sociale che si prefiggeva perfino il superamento della proprietà privata con le leve della democrazia economica e della democrazia sociale (il Piano Meidner), è irripetibile nella sua radicalità. Ma la «nuova avventura» avviata da Mona Sahlin è altrettanto ambiziosa: rimodellare il welfare senza abbatterlo, far uscire la Svezia dall'isolazionismo e dimostrare che Stoccolma non abbandona gli ideali socialdemocratici nella sua organizzazione sociale.
(vagabondo)