martedì 4 giugno 2013

Husby: "Impressioni ed opinioni del giorno dopo."


La reputazione di tolleranza scandinava è stata messa alla prova da una settimana di disordini nelle periferie di Stoccolma.
Come milioni di altri svedesi comuni dei quali ormai si sente parte, Mohammed Abbas teme che la società dei suoi sogni sia attualmente minacciata. Quando nel 1994 giunse per la prima volta a Stoccolma dall'Iran come rifugiato, il grande complesso di case popolari di Husby, dove si stabilì, era un miscuglio di gente locale e straniera, un melting pot che avrebbe dovuto essere un armonioso paradiso multirazziale.

Due decenni più tardi, tuttavia, la "fuga dei bianchi" ha lasciato un solo appartamento di Husby su cinque occupato da svedesi indigeni, e molti dei loro subentranti immigrati non sembrano condividere la sua opinione di aver realizzato il sogno di una nuova vita in Svezia. La scorsa settimana, il quartiere è scoppiato in rivolta, scatenando alcuni dei più violenti disordini urbani a cui la Svezia abbia assistito in decenni, e un nuovo dibattito sul successo dell'integrazione razziale.
"In passato il quartiere era più svedese e la vita era come un sogno, ma adesso ci sono troppi stranieri e una nuova generazione che è cresciuta qui con la loro cultura", spiega Abbas, gesticolando verso i giovani incappucciati che girovagano nella zona commerciale pedonalizzata di Husby.

"In Svezia i figli non si possono colpire nemmeno per disciplinarli, e questo è un problema per i genitori stranieri. I ragazzini si sentono di poter provocare tutti i danni che vogliono e la polizia, il più delle volte, neanche li arresta."
Dopo sei notti consecutive di sommosse, Mohammed non era il solo a mettere in dubbio la preferenza della carota sul bastone del modello sociale svedese.
Molti svedesi si stanno chiedendo perché un paese che si vanta di avere un welfare state munifico, dei comportamenti sociali liberali e un'attitudine accogliente verso gli immigrati dovrebbe mai avere, in primo luogo, delle rivolte razziali.

In genere si è ridotta anche l'idea che l'egalitaria Svezia, la quale ha evitato considerevolmente la recessione globale, potesse essere immune dai problemi sociali che deteriorano altre parti meno ricche d'Europa.

Il primo ministro del centrodestra svedese, Frederik Reinfeldt, ha dato la colpa a "teppisti" ma ha anche parlato con commiserazione del difficile "periodo di transizione tra culture diverse". Nel frattempo, i politici della sinistra svedese, che ha governato il paese per la maggior parte del periodo postbellico, hanno messo sotto accusa i tagli della spesa introdotti da Reinfeldt, il cui Partito Moderato aveva promesso di regolare – e non di tagliare - il budget del welfare quando è entrato in carica nel 2006.

Ma, tra un esame di coscienza e un altro, il commento più significativo è stato forse quello di Kjell Lindgren, il portavoce della Polizia di Stoccolma. “Non sappiamo perché stiano facendo ciò", ha detto quando gli è stato chiesto il motivo delle rivolte. "Non c'è risposta".

Di sicuro, girando per Husby la scorsa settimana, era difficile a primo sguardo vedere esattamente quale fosse il problema. Costruito negli anni '70 come parte del "Programma Milione", volto a concedere a tutti gli svedesi abitazioni a prezzi agevolati, il complesso è uno dei dodici nella periferia di Stoccolma che adesso ospita prevalentemente immigrati, tra i quali numerosi provenienti da Somalia, Eritrea, Afganistan e Iraq.

Tra le file dei caseggiati dall'aspetto pulito ci sono aiuole ben curate e giardini pubblici ben tenuti, e nell'area commerciale, dove una fontana ornamentale ancora zampilla, si trovano bar, negozi e un piccolo cafe-bakery che non sarebbe troppo fuori contesto in un catalogo IKEA. Il tasso di disoccupazione di Husby dell'8 per cento è tre volte quello della media svedese.
In mezzo a un folto gruppo raccolto in una passerella sopraelevata, stava Mohammed Abdu, 27 anni, la cui famiglia è arrivata in Svezia dall'Eritrea quando lui aveva tre anni e adesso lavora come agente di sicurezza. Nonostante abbia condannato la violenza come "teppismo", ha sostenuto che molti residenti di Husby ancora soffrano di discriminazioni da parte della polizia e dei datori di lavoro. Inoltre, ha aggiunto che vivere in un paese così prospero e avanzato non ha offerto alcuna reale soddisfazione a coloro che evidentemente rappresentano "l'ultima ruota del carro".
"È vero che il sistema di welfare qui è un esempio per il resto del mondo: se uno cadesse qui, non cadrebbe fino in fondo" ha detto. "Ma alla gente non piace essere dipendente dal social welfare, e c'è del razzismo nascosto".
Non dello stesso parere è Yusuf Carlos, 32 anni, un operaio edile palestinese che ha spiegato: “Sono solo ragazzini a causare questo problema, ecco perché la polizia non sta facendo molto a riguardo", ha detto, "La Svezia è corretta verso gli immigrati e non è difficile trovare lavoro, o comunque non prima di queste rivolte. Il problema è che adesso il popolo svedese è infuriato. Loro non sanno perché la gente, qui ad Husby, sta facendo questo, sanno solo che viene da questo quartiere".
Nonostante l'insegnamento della lingua svedese sia ancora impartito gratuitamente a tutti gli immigrati a lungo termine, negli ultimi anni i ghetti di stranieri sono proliferati. Allo stesso modo, sfidando il duraturo consenso pro-immigrazione della classe politica, sono proliferati i partiti di estrema destra ai quali è andato il 10% del voto e potrebbero incrementare la loro parte alle elezioni del prossimo anno.
 "Abbiamo provato a integrare più duramente di altri paesi europei, spendendo miliardi del sistema di welfare che è stato creato per aiutare i disoccupati immigrati e garantire loro una buona qualità di vita" ha detto Marc Abramsson, leader del Partito Democratico Nazionale. 
"Tuttavia abbiamo aree dove ci sono gruppi etnici che non si identificano affatto con la società svedese. Vedono la polizia e anche i vigili del fuoco come parte dello stato, e li attaccano. Abbiamo provato di tutto, qualsiasi cosa per migliorare le cose, ma non ha funzionato. Non c'entra il razzismo, è quel multiculturalismo che non riconosce come in realtà funzionano gli esseri umani".
Aje Carlbom, docente universitario svedese e autore di uno studio critico sulla politica d'immigrazione del suo paese, ha aggiunto che nonostante il fascino crescente dei partiti di estrema destra, i politici svedesi tradizionali sono ancora riluttanti anche a porre il genere di domande alle quali qualcuno come il professor Abramsson stava già dando delle risposte.
"Chiunque voglia regolare l'immigrazione è immediatamente classificato come un nazionalista, il che implica anche un razzista" ha affermato. "È ancora quasi impossibile discutere sul problema".

Eppure, alcuni delle generazioni più giovani di Husby spiegano come sia irragionevole che gli svedesi si aspettino da loro una perenne gratitudine per averli accolti, anche dalle tremende circostanze nei loro paesi. Tra essi, c'è un giovane lavoratore locale, Rami al Khamisi, 25 anni, la cui famiglia è fuggita in Svezia dall'Iraq di Saddam Hussein nel 1994, passando clandestinamente prima dalla Turchia e dalla Russia e poi dal Baltico in un peschereccio requisito da un trafficante di uomini. "Avevo sei anni e la barca era stipata con circa 60 persone" ha detto. "Un anziano morì, e lo buttarono in acqua perché il suo corpo puzzava troppo".
di Colin Freeman
traduzione di
Francesca de Luca 
Questo però è il suo solo vero ricordo degli stenti della sua infanzia e, proprio per questo, trova difficile essere riconoscente alla sua patria d'adozione come lo sono ancora i suoi genitori. "Loro la mettono in confronto con Baghdad o la Somalia" dice, "ma noi immigrati più giovani conosciamo in realtà soltanto la Svezia, e paragoniamo la nostra situazione a quella che ci circonda".
Dopo quanto successo l`altra settimana a Stoccolma, ciò potrebbe richiedere un po' troppa comprensione, anche nella compassionevole e generosa Svezia.





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Sono andato, tornato, ripartito.

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E così ora sono qui, in un’altra fase della Vita. Abito vicino al ponte Västerbron, a forma di arpa. E’ bellissimo. La mia gratitudine è a scoppio molto ritardato. Faccio in tempo a dimenticare gli atti, i nomi e i volti prima di aver capito quando dovessi ad ognuno.