mercoledì 27 agosto 2014

Il figlio svedese di Francois Mitterrand


 "Giudicatemi per quello che sono, e non per quello che era mio padre. Ma, è così: François Mitterrand era mio papà". È quanto sostiene il giovane uomo politico svedese Hravn Forsne al giornale regionale Kungsbacka-Posten, in un'intervista ripresa dai media francesi. 
Forsne, candidato alle elezioni municipali del 14 settembre con il partito moderato del premier Fredrik Reinfeldt, è figlio della giornalista Christina Forsne, 66 anni, che due anni fa aveva confidato di aver avuto una relazione segreta con Mitterrand, incontrato nel 1979, quando ancora non era presidente, in occasione di un congresso socialista internazionale vicino a Stoccolma.
La relazione sarebbe durata dal 1980 al 1995, mentre lei lavorava a Parigi come corrispondente del quotidiano svedese Aftonbladet. E la moglie di Mitterrand, Danielle, nonché diversi amici e colleghi, sarebbero stati al corrente di tutto. La Forsne, autrice di una biografia su Mitterrand uscita nel '97, non ha mai voluto svelare l'identità del padre di suo figlio, nato nel novembre del 1988. In una intervista rilasciata nel 2012 ad un noto quotidiano svedese, la madre aveva ammesso di aver avuto una relazione di 15 anni con Mitterrand, ma alla domanda se l'ex capo dell'Eliseo fosse il padre di suo figlio, aveva risposto evasivamente. "Sono pronta a parlare della mia relazione con François Mitterrand. Ma non parlerò di nessun altro che mi è vicino", aveva detto.

Ai media francesi, Hravn Forsne, che abita a Kullavik, nel sud-ovest della Svezia, non ha voluto dire di più: "Sono un politico svedese ed è la politica svedese che mi interessa", ha dichiarato all'agenzia France Presse, precisando di non cercare la notorietà in Francia. Al giornale svedese ha detto di aver incontrato colui che dice sia suo padre "cinque o sei volte al massimo". 
Chi li capisce è bravo…sti`svedesi…!!!

Eravamo quattro amici al bar

Eravamo quattro amici al bar
che volevano cambiare il mondo
destinati a qualche cosa in più
che a una donna ed un impiego in banca
si parlava con profondità di anarchia e di libertà
tra un bicchier di coca ed un caffè
tiravi fuori i tuoi perché e proponevi i tuoi farò…
(Gino Paoli)
*****
Già! E non eravamo solo quattro, anzi a volte eravamo in tanti, e non eravamo solo al bar ma anche in molti altri posti che al bar assomigliano. Questa frase della vecchia canzone è diventata uno di quei modi di dire che spiegano tutto in poche parole, un modo di essere e un modo di pensare, i sentimenti e i distacchi, le trasformazioni e le speranze, e allora la uso anch'io come titolino di un post che vuole riportare a un'epoca e vuole anche svolgere una funzione.
Il bar per eccellenza negli anni della nostra gioventù - anni lunghi quelli nei paesi, assai più che nelle città - era il chiosco di Barone, quello di allora, che era cosa assai diversa di quello che è stato dopo. Un chiosco con le tante pertinenze - lo scalino, il bancone - e le ancor più numerose appendici, la piazzetta di cui non ricordo il nome, la panchina al viale, l'autobus che non passava mai, la Piscina mondo proibito per noi ragazzi del popolo, ecc.. è vero che volevamo cambiare il mondo, e che poi a uno a uno siamo andati via, e chi non è partito per andare lontano ha lasciato per la famiglia, i figli, e gli anni che passano.
Forse è anche vero che il mondo ha cambiato noi, ma la cosa mi sembra più banale, perché non tutto e non tutti siamo cambiati allo stesso modo. La canzone può avere finali assai diversi a seconda di chi la canta. Volevamo cambiare il mondo, ma intorno ai quattro amici al bar anche allora c'erano coloro ai quali non fregava niente del mondo. Così ognuno è poi diventato grande attraversando gli anni come ha saputo e potuto: chi con gli appetiti o l'accidia, chi con le preoccupazioni o i successi o quant'altro ancora e chi con quello che resta dell'antica voglia di cambiare il mondo. Che a volte non scompare del tutto, e ogni tanto riaffiora, anche quando non ci si aspetta più molto dal tempo che verrà.
Eravamo un po' di amici al bar, e qualcosa di quello spirito in alcuni è rimasto. Il desiderio di poter fare di più talvolta è palpabile, anche se il bar o le sue appendici sono oramai lo spazio e il tempo breve di un incontro in agosto, fatto di un fugace saluto e di qualche commento su come è il paese oggi.
Poter fare di più per la cittá di Santa Fermina, che avremmo voluto diversa e per il quale non abbiamo avuto modo e tempo di fare granché, anche a causa di coloro ai quali non fregava niente del mondo. Cosa si può fare da lontano per la città di Santa Fermina? Niente o qualcosa. Chi opta per qualcosa sa che ha Internet a disposizione, almeno per dire la sua e su ciò che vuole.
Questo spazio dovrebbe essere anche per i quattro amici al bar che volevano cambiare il mondo e che hanno ancora qualcosa da dire. Critiche e suggerimenti, agli amministratori o agli amici rimasti in paese, che a volte vuol dire la stessa cosa. Naturalmente i suggerimenti  sarebbero benvenuti anche dalla Madonnina di Pantano! Tutti con spirito devoto e costruttivo. Possibilmente...!!!  
Buona vita a tutti!!!



lunedì 25 agosto 2014

L'orso russo spaventa anche la virtuosa Svezia


A Kivik, la cittadina sul Baltico nel sud est della Svezia dove trascorro questo scampolo di vacanza, è tutto un fare i bagagli. Le Volvo station wagon cariche di valige, muovono verso Stoccolma, Malmö, Lund. A Ferragosto tutto ricomincia. Da lunedì riaprono le scuole e si torna al lavoro. Parte anche la campagna elettorale: il 19 settembre gli svedesi votano e tutti i sondaggi prevedono la vittoria dei socialdemocratici. Jacob Wallenberg, erede della famiglia che controlla indirettamente circa la metà della borsa di Stoccolma (Ericsson, Abb, Electrolux, SAS fanno capo a Investor, la portaerei finanziaria del gruppo) teme una radicale svolta a sinistra e ha manifestato la preoccupazione sua e dei suoi pari. 
Frederik Reinfeldt
La coalizione moderata guidata da Frederik Reinfeldt non ha governato male, anzi ha assicurato a lungo un buon tasso di crescita mentre il resto d'Europa era in crisi nera (l'unico grave scivolone è colpa della banca centrale che ha rialzato i tassi lo scorso anno), ha aperto e modernizzato un welfare state ansimante, dove il tutto pubblico ha ridotto l'efficienza, appesantito i costi, abbassato il livello dei servizi, a cominciare dall'istruzione. Il sistema sanitario misto sperimentato a Stoccolma funziona, le cosiddette "free school" (sempre statali, ma autonome) hanno attratto gli insegnanti e gli studenti migliori. Però, dopo otto anni e due mandati, gli svedesi vogliono cambiare.
Kjell Stefan Löfvenis
Se tutto va come previsto il vincitore sarà un ex sindacalista, già capo dei metalmeccanici. Un Landini svedese? Non esattamente perché i metalmeccanici rappresentano l'aristocrazia operaia, meno radicale che in Italia. Tuttavia Kjell Stefan Löfvenis è un socialdemocratico duro e puro che promette più spesa pubblica e soprattutto più tasse. Il tema delle imposte è centrale nella polemica politica: anche un paese dove il mito dello stato sopravvive e con esso il mito di tasse elevate per avere servizi pubblici, lo scontento (non solo dei ricchi, ma dei ceti medi e dei lavoratori dipendenti) ha alimentato vari movimenti di protesta non solo all'estrema destra. Il partito delle donne, ancora nella culla, potrebbe finire in Parlamento e chiede che le tasse vengano usate in chiave femminista. Gli ecologisti, invece, per migliorare l'ambiente e chiudere (a ventiquattro anni dal referendum) le centrali nucleari che ancora forniscono tre quarti dell'elettricità.
La frammentazione politica s'è fatta strada anche qui e c'è il rischio che nessuno ottenga una chiara maggioranza, dunque si parla con sempre maggior frequenza di formare una grande coalizione sul modello germanico, formula politica mai adottata, fino a ieri considerata tabù. E tuttavia ci sono problemi che nessun partito è in grado di risolvere da solo o con i tradizionali alleati. Il modello basato sul consenso, pilastro quasi secolare della Svezia, oggi richiede un allargamento al di là dei confini tradizionali destra/sinistra.
Un dibattito interessante, per ora tutto interno alla classe politica, ma può diventare molto più ampio di fronte alla questione che angoscia davvero la gente: l'escalation russa, le mire neoimperiali di Vladimir Putin. Qui "Ivan" è da sempre considerato il nemico pubblico numero uno. E adesso i peggiori incubi si stanno materializzando tanto che il governo ha aumentato le spese militari e ha deciso di allargare la leva obbligatoria per rafforzare gli effettivi dell'esercito. Il ministro degli esteri Carl Bildt è stato uno dei negoziatori dell'ingresso dell'Ucraina nella Ue e ha il dente avvelenato. Sul Financial Times ha scritto un veemente articolo per spiegare i pericoli del puntinismo a chi in Europa fa finta di non capire, cioè soprattutto ai tedeschi e agli italiani.
Federica Mogherini
La Svezia non vuole Federica Mogherini come alto rappresentante della politica estera e di sicurezza. L’opinione degli addetti ai lavori è che la ministro degli esteri ha commesso un errore grave, non solo di forma ma di sostanza, quando ha reso omaggio a Putin. Non ha agito come esponente dell'intera Ue e ancor oggi continua a non parlare con la voce comunitaria nonostante l'Italia sia presidente di turno. Forse è esagerato considerare uno sgarbo quella che è stata probabilmente solo una gaffe, ma non bisogna sottovalutare la sensibilità dei paesi nordici e di quelli vicini alla Russia. Per loro siamo già in una nuova guerra fredda e non sono ammesse leggerezze né, tanto, comportamenti da principianti. In fondo è questo l'atteggiamento nei confronti dell'Italia renziana. Sono finiti i tempi di Silvio Berlusconi signore oscuro della telecrazia anche agli occhi dei moderati e dei conservatori. Ma sono passati presto anche quelli di Mario Monti, la speranza tecnocratica che piaceva al governo di centro-destra. La clamorosa vittoria di Matteo Renzi ha sorpreso chiunque: l'energia, la giovinezza, le donne (la quota del 50% nel governo va al di là delle aspettative persino delle femministe). Ma, concreti come sono, poco abituati a voli pindarici e promesse mirabolanti, visto il fumo gli svedesi vogliono vedere anche l'arrosto. I dati sulla congiuntura italiana che hanno anticipato la frenata dell'intera Eurolandia, mettono in allarme il mondo politico e quello degli affari. Tutti, dagli economisti al cittadino medio, si chiedono perché la cura europea non ha funzionato. La Svezia è un paese virtuoso con debito pubblico basso (40% del pil) e alta crescita (il prodotto lordo è salito di 10 punti dal 2006), tuttavia l'amara medicina ha creato anche qui acute divisioni.
Le differenze sociali sono rimaste a lungo nascoste agli occhi del pubblico e mitigate dalle politiche redistributive, adesso appaiono alla luce del sole, per le strade circolano sia le Maserati sia i barboni. La disoccupazione è scesa, però resta bloccata a quota otto per cento, considerata troppo alta. Nonostante un mercato del lavoro dove la flessibilità prevale ormai sulla sicurezza, il pieno impiego appare un miraggio lontano. Prevale a questo punto la spinta a recuperare le ricette del passato, quelle ante-crisi. Il pendolo si sposta ancora. Non funzionerà, dicono i vecchi saggi, ma nessuno sa proporre nulla di nuovo. L'Unione europea vacilla, l'orso russo affila le unghie, l'immigrazione ha trasformato le città dove le rivolte nelle periferie sono ormai ricorrenti, sicurezza e protezione diventano le due priorità domestiche. 
by: Stefano Cingolani

"Sì, siamo rimasti a lungo appartati nel nostro paradiso nordico - mi dice un amico regista che ha lavorato a lungo nel continente - ma non siamo un'eccezione. Crisi, immigrazione, sicurezza è il triangolo perverso che blocca l'Europa intera".
Le campane del Baltico, insomma, suonano anche per noi.



Attenzione

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Sono andato, tornato, ripartito.

Sono andato, tornato, ripartito.
E così ora sono qui, in un’altra fase della Vita. Abito vicino al ponte Västerbron, a forma di arpa. E’ bellissimo. La mia gratitudine è a scoppio molto ritardato. Faccio in tempo a dimenticare gli atti, i nomi e i volti prima di aver capito quando dovessi ad ognuno.