Adelmo Tosi, bolognese di San Matteo della Decima, il "paese dei meloni", è arrivato a Stoccolma 46 anni fa. Pensionato, è consultore della Regione Emilia-Romagna per la Svezia. In Italia non torna per un unico motivo: la famiglia, i figli che ormai sono svedesi a pieno titolo, e lì hanno la loro vita, il lavoro, gli affetti.
Stoccolma è una bella città, sia in estate sia in inverno. La chiamano "la Venezia del nord", perché è costruita sull’acqua, su tredici isole collegate da ponti. E’ piena di parchi, giardini, e le insenature, le isole del suo arcipelago, le gite che si possono fare in battello, e soprattutto la capacità di restare in armonia con l’ambiente naturale, la rendono piacevole. Certo, anche Stoccolma non è più quella di una volta.
C’è più confusione, tanta gente, tanta immigrazione: non solo da altri Paesi ma anche dal nord e dal sud della Svezia. Ormai, su un milione di abitanti, saranno 100 mila o poco più quelli nati a Stoccolma. E poi è una città cara. La situazione è peggiorata con l’euro: gli svedesi, copiando gli inglesi, non l’hanno voluto e ora per comprare un euro ci vogliono dieci corone. Prima venire in Italia era vantaggioso, ora è l’italiano che qui con solo un euro può pagarsi un caffé e una pasta. E’ stata più furba la Finlandia, che si è allontanata dalla Russia, è entrata nell’Unione europea e nell’area euro, e ora, grazie anche alle sue grandi industrie, sta meglio di noi.
Quando mi chiedono se ci sono problemi di sicurezza a Stoccolma, rispondo che è ancora una città tranquilla ma qualche problema c’è. Recentemente il governo ha concesso il passaporto subito a 98 mila ex-jugoslavi, senza farli aspettare sette anni come di norma. Un po’ di criminalità si comincia a vedere. Ci sono bande di stranieri che assaltano i portavalori.
Ma oggi, per fortuna, noi italiani non siamo più un problema. Grazie al lavoro, ci siamo affrancati, integrati, non siamo al livello – per dire – degli arabi. Ma sotto sotto, se si va scavare, rimaniamo stranieri. All’anagrafe abbiamo un numero speciale: loro guardano il tuo numero e capiscono subito che sei straniero. Per diventare svedesi, ci vogliono trecento anni... Sono bravi, leali, o così sembra: ma i pregiudizi ci sono. Con i vicini, ad esempi, abbiamo rapporti cordiali, ma ognuno resta a casa propria. Io sono in Svezia dal 1960, ma se devo dire che ho un amico svedese... no, non ce l’ho.Che impressione mi ha fatto la Svezia appena arrivato? Lo dico con sincerità: sarebbe stato da tornare indietro subito. All’inizio sembrava tutto bello: ci hanno portato al ristorante e il giorno dopo a lavorare. Ma poi ci hanno sistemato subito nelle baracche. L’industria era dieci anni indietro rispetto all’Italia. Ma eravamo giovani, vedevamo le donne, avevamo vent’anni... Oggi posso dire di aver fatto una stupidata ad andare in Svezia. Avevo appena terminato il militare, sceso dal treno ho incontrato il padre di un ragazzo che stava in Svezia: "Vieni – mi diceva -, c’è tanto lavoro".
Un altro aspetto che non può essere scordato, quando si parla di questo Paese, è la solitudine. E’ incredibile quanta ce n’è. La solitudine prende la gente, la prosciuga come un albero rinsecchito. Vedi, noi italiani, noi mediterranei, in qualche modo ce la caviamo; i nordici, invece, sono deboli di nervi. Per ogni piccolo problema, si mettono a bere. Hanno problemi di divorzio, con la moglie, con i figli, sul lavoro? Bevono. E’ dal 1960, da quando sono arrivato, che sento parlare di questa piaga, ma con nessun risultato. Adesso con internet ci sono persone che, per aggirare i divieti, si fanno arrivare dalla Germania casse con anche duecento bottiglie di alcolici, che poi la Finanza puntualmente sequestra. Tutta merce bloccata in grandi magazzini di cui non si sa che fare. C’è chi vorrebbe liberalizzare la vendita degli alcolici, dato che non si può andare contro il libero mercato comunitario, ma il problema sono i giovani. Se un anziano si mette a bere e non smette più, sono affari suoi. Ma i giovani?
(Intervista tratta da Emigliano-Romagnoli nel Mondo