Esiste un paese dove gli abeti e le betulle si specchiano
nei laghi ghiacciati; dove il sole non brucia, ma illumina la notte per molti
mesi dell’anno e per altri mesi va in letargo, come l’orso bruno e i tanti
animali, piccoli e grandi, che popolano le sue foreste.
La Svezia è una signora dai capelli di grano, che cambia
vestito ogni stagione; d’estate indossa il blù dei suoi laghi fatati, d’inverno
si veste di grigio, come il cielo spietato di questa stagione. Il suo profumo è
quello dei mille fiori nordici colorati che inebriano la mente; il muschio
incorona la sua testa e tutto di lei sa di freschezza.
Essa è madre che provvede ai piccoli e agli anziani, non
abbandona nessuno e vigila, attenta, sulle frontiere.
D’inverno, quando le lancette dell’orologio segnano le tre del pomeriggio si accendono i lampioni e la notte si avvicina, inesorabilmente. Questa lunga notte del nord che dura tanto ed esercita sull’uomo inerme il suo fascino che, per quanto cinico sia, non può sfuggire alla metafisica che caratterizza questa terra.
E’ come se l’anima del Vichingo aleggiasse disperato nelle
tenebre, perché non trova risposta alla sua disfatta, né soddisfazione dai suoi
discendenti pacifici e tranquilli. Così, il forestiero, profano ed inesperto,
sperimenta la forma sublime ed assoluta del suo silenzio, in cui persino
sentire il proprio cuore battere e pensare diventa rumoroso. Questo silenzio
che fa sì che l’uomo prenda conoscenza della sua piccolezza di fronte all’immensità,
e ai rumori sinistri dell’aurora boreale.
La solitudine del nord fa perdere il contatto con il resto
del mondo e la sua rumorosa realtà.
Esistono delle casette di legno tinte di rosso e di bianco
con tendine che ornano le finestre e con dei fiori sui davanzali sperdute nei
boschi, sono isolati, eppur vivi, a stretto contatto con la natura e con gli
animali che le circondano.
Guarda e vigila il vecchio continente.
Eppure, secoli fa, anch’essa era una guerriera, aveva invaso
la Norvegia, la Finlandia, la Danimarca, la Lettonia, l’Estonia e una parte
della Germania. Imperatrice, si vestiva di gloria.
Le sue guerre furono rare, ma quelle poche durarono anni.
La guerra contro la Danimarca durò trent’anni.
La guerra contro la Danimarca durò trent’anni.
Fu così che si elesse Regina del Nord.
In questo paese regna sovrana la democrazia. E’ nel sangue del re e della regina.
Gustav VI Adolf si chiama Bernardotte ed è discendente di un
generale di Napoleone; la regina, Silvia, era una hostess delle Olimpiade ed è
tedesca, vissuta in Brasile.
Non era né strano, né inconsueto, incontrare il nonno del re
per le vie di Stoccolma in bicicletta.
Il vecchio nonno amava l’archeologia e spesso è stato ospite
in Italia nelle vicinanze di Viterbo, dove amava scavare e scoprire i tesori
delle tombe etrusche.
I ministri svedesi non sono scortati, né ho mai visto
macchine di servizio, usano i mezzi pubblici o vanno a piedi. Non sto
farneticando, né è fantasia, ma la pura e semplice verità.
E democratico è anche il popolo. Non si sfregia dei titoli
di dottori (anche se laureati), almeno che non è un medico di professione, né
esistono professori o professorini.
Sono, siamo, tutti signori.
Il palazzo reale non sovrasta nessun luogo, nessun muro di cinta né cancelli o cancelletti, o qualsiasi barriera, che lo separi dalla gente comune. Esso è situato nella “gamla stan” (città vecchia) e s’affaccia sul lago Mälaren, dove d’inverno blocchi di ghiaccio sottili, per via delle correnti, scivolano silenziosi e vengono rotti da un lento rompighiaccio.
Questo è il lago che d’estate si popola da cigni, papere e
barche a vela di tutte le dimensioni e colori.
Nell’oscurità dei pomeriggi invernali si possono intravedere
le sagome delle chiese gotiche protestanti i cui campanili, che sovrastano le
case, hanno in cima l’eterno gallo che sembra scrutare l’infinito.
Stoccolma si estende pigramente intorno al lago, su tanti
isolotti che si ricollegano con ponti e ponticelli. Ecco il significato del nome Stockholm: “stock” significa
tronco e “holm” significa isolotto, infatti, la parte vecchia della città, fu
costruita su dei tronchi enormi che sono immersi nelle acque profonde. La città che d’inverno dormicchia, d’estate si risveglia:
tornano gli uccelli emigratori, rifioriscono i tulipani, le rose selvatiche, i
mughetti, le viole e gli alberi si vestono di verde.
I laghi sembrano riprendere vita dalle barche traghetti che
scivolano silenziosamente nei canali stretti, costeggiati da alberi che con i
loro lunghi rami sembrano salutare i marinai provetti.
Stoccolma è una bomboniera, dove d’inverno il silenzio fa da
re e la solitudine fa da regina, ma che d’estate si colora di turisti
variopinti e gli svedesi ritornano a sorridere.
Fin’ora vi ho descritto un paese da favola, ma il tempo delle favole è passato da un pezzo. Un paese troppo perfetto per essere reale. Mi è costato un po’ di fatica scrivere questa ultima parte, perché io mi domando come faccio a mostrare le parti deboli di un paese che amo, perché sono figlia, nata dalle sue viscere, ma la mia Svezia vuole essere quella che è stata per me, senza finzioni o fantasie.
Ci saranno altre “Svezie” per altri occhi e cuori, per altre
esperienze diverse dalle mie.
Ad ognuno la sua verità. Questa è la mia.
Molti sono figli di genitori divorziati, cresciuti con
uno o due “papà” (o mamme) diversi dai propri. Figli del divorzio, perché
se è facile sposarsi in Svezia è altrettanto facile divorziare: 6 mesi ed è
fatta. Almeno così era ai miei tempi.
Come faccio io a spiegarvi del potere degli assistenti
sociale, forte più di quello dei genitori stessi. Vero è che l’intenzione è per
il bene del bambino, ma come faccio a spiegare a voi queste testuali parole: “Il
padre naturale è soltanto un papà biologico, lo Stato provvederà a tuo
figlio”. Parole, queste, pronunciate da un assistente sociale ad un
genitore preoccupato per la sorte di suo figlio. Questa famosa e perfetta assistenza sociale svedese, che
guai se non ci fosse, però in qualche modo produce solitudine ed abbandono da
parte dei parenti dell’assistito. Conosco anziani che non vedono né sentono per telefono i
propri parenti da anni, muoiono in casa e lo si scopre dopo giorni e giorni,
perché nessuno li aveva cercati. Rimangono le lunghe e silenziose passeggiate solitarie di
chi ormai ha vissuto.
Raramente, ho visto dei nipoti accompagnare i nonni nel
parco. Come faccio io a spiegare i sentimenti che suscitavano in
me, già negli anni sessanta, quando mi trovavo di fronte a degli enormi
cartelloni per strada, dove erano stampati i nomi delle giovani vittime della
droga? Giovani che erano disposti a qualsiasi cosa pure di ricevere un po’ di
illusioni pericolose; giovani abbandonati a se stessi, che già vivono di
assistenza sociale e disillusi dalla vita, perché dalla vita sono stati
sfruttati, con la benedizione di un benessere che porta il cognome di un
malessere sociale. E, infine, cosa dirvi dell’alto tasso di suicidi degli anni
passati, del profondo mal di vivere?
by: piccolarondine |
Questa, signori miei, è l’altra faccia del sogno Scandinavo, che si chiama incubo.
Il paradiso che non esiste su questa terra, appartiene al
cielo. Forse.