venerdì 9 maggio 2014

"Le rose che non colsi" di Gianna Schelotto.


Pubblico questa bella recensione di Patrizia Belleri all’ultimo libro che ho letto:"  Le rose che non colsi" di Gianna Schelotto sulla psicologia del rimpianto.

“Non amo che le rose che non colsi / Non amo che le cose che potevano essere e non sono state” (Guido Gozzano).

Scrive Patrizia Belleri: “Con il suo ultimo libro dal titolo suggestivo – Le rose che non colsi. Psicologia dei rimpianti (Mondadori) – la Psicoterapeuta Gianna Schelotto riflette sulla  memoria del passato: può essere utile e funzionale all’adattamento al nuovo, o, al contrario, diventare una trappola per chi non riesce a distaccarsene, e pensa alla propria vita come a un susseguirsi di occasioni perdute, a tante rose non colte.
I “passatisti”, come li chiama la Schelotto, hanno difficoltà a vivere il presente, sempre voltati indietro a ripensare ai momenti salienti del proprio percorso di vita, nella convinzione che, se solo avessero intrapreso strade differenti, oggi sarebbero più appagati.
La Schelotto ci fa intendere che il tentativo di far rivivere il passato spesso delude, e le storie che racconta lo dimostrano: come la vicenda della Fabbrica delle Nuvole, la casa magica dove Marion ha trascorso l’infanzia e dove torna da adulta per cercare l’amore mai vissuto di due adolescenti che ormai non esistono più.
E altre storie ancora, come quella di Elvira, che rinunciò da giovane al sogno di diventare pianista perché il Maestro, idealizzato e amato in segreto, si innamorò della sua migliore amica, anche lei musicista. Mentre Elvira viveva una vita “normale”, l’amica mieteva allori nel mondo della musica, fino a diventare famosa in tutto il mondo. Solo alla fine del percorso, agli 80 anni di entrambe, le ex ragazze si ritrovano e Elvira scopre che le cose non sono andate affatto come lei credeva.
Un tempo, quando ci chiedevamo che fine avessero fatto le persone con cui abbiamo condiviso periodi significativi della vita, eravamo sicuri che sarebbe stata una domanda senza risposta, e, tutto sommato, non cercavamo altro: ci bastava sapere che una parte di loro era rimasta nella nostra memoria e nel nostro cuore.

Oggi non è più così: i nuovi mezzi di comunicazione hanno permesso di realizzare con apparente facilità qualcosa che era impensabile fino a pochi anni fa. Internet rende  possibile ritrovare l’amore dell’adolescenza, l’amicizia interrotta dopo l’esame di maturità, le relazioni che non hanno retto alle vicissitudini della vita. Ma se queste relazioni si sono interrotte a un certo punto del nostro percorso, e mai più abbiamo avuto il desiderio di riallacciarle, ci sarà una ragione?
Gianna Schelotto ci racconta di Giulia, professionista affermata, moglie appagata, madre orgogliosa di due figli quasi grandi. Un giorno Giulia riceve la richiesta di amicizia su Facebook dal suo primo amore, una relazione giovanile che non ha superato la prova della distanza, quando il ragazzo si trasferì all’estero. All’inizio, Giulia gli risponde mossa dalla curiosità, ma poi chattare la sera quando tutti dormono  diventa un’abitudine che la intriga e la tormenta. Si sente di nuovo giovane e mette  in discussione la sua vita, fino a decidere di uscire dalla dimensione virtuale per confrontarsi realmente con l’amore di un tempo: le conseguenze non saranno indolori.
Tentare di recuperare il passato e i suoi abitanti porta solo delusione e rimpianto?

Non è detto: succede anche che gli anni e l’esperienza ci migliorino, rendendo possibile stabilire relazioni nuove, più autentiche e mature, sulla base di un affetto antico. Ma di queste vicende si sente parlare poco: come fa notare la  Schelotto, i protagonisti delle storie a lieto fine non approdano negli studi degli psicologi!”



giovedì 8 maggio 2014

Povera gente

“ Che peste questi scrittori !
Invece di raccontare qualcosa di utile o di divertente che ti sollevi, si danno a scovare tutti i fatterelli e le miserie della vita.
Per me gli proibirei di scrivere.
Proibizione assoluta. 
( da  “ Povera gente “ di Fedor Dostoewskij )

Nel 1846 aveva già capito tutto. Buonanotte!


mercoledì 7 maggio 2014

I più pericolosi nemici d’Italia non sono i tedeschi, sono gli italiani.


Chi si ricorda di Massimo d’Azeglio? Di lui si cita spesso una frase: fatta l’Italia, ora bisogna fare gli italiani. Per il resto buio assoluto. Luigi Zingales, economista dell’Università di Chicago nonché neo consigliere d’amministrazione di Eni, usa un brano dello scrittore e uomo politico risorgimentale per concludere il suo libro appeno uscito sull’euro, “Europa o no”. (Se avete voglia di capire i problemi delle moneta unica, le opportunità e i rischi di una eventuale uscita dell’Italia, è un testo da leggere).
Al di là dei temi economici la citazione di D’Azeglio è folgorante.  Eccola:

I più pericolosi nemici d’Italia non sono i tedeschi, sono gl’italiani. E perché? Per la ragione che gl’italiani hanno voluto far un’Italia nuova, e loro rimanere gl’Italiani vecchi di prima, colle dappocaggini e le miserie morali che furono ab antico la loro rovina; perché pensano a riformare l’Italia, e nessuno s’accorge che per riuscirci bisognava che si riformino loro, perché l’Italia, come tutt’i popoli, non potrà divenir nazione, non potrà esser ordinata, ben amministrata, forte così contro lo straniero e contro i settari dell’interno, libera e forte di propria ragione, finché grandi e piccoli e mezzani, ognuno nella sua sfera non faccia il proprio dovere, e non lo faccia bene, od almeno il meglio che può. Ma a fare il proprio dovere, il più delle volte fastidioso, volgare, ignorato, ci vuol forza di volontà e persuasione che il dovere si deve adempiere non perché diverte o frutta, ma perché è dovere; e questa forza di volontà, questa persuasione, è quella preziosa dote che con un solo vocabolo si chiama carattere, onde per dirla in una parola sola, il primo bisogno d’Italia è che si formino italiani che sappiano adempiere al loro dovere; quindi che si formino alti e forti caratteri. E pur troppo si va ogni giorno più verso il polo opposto.
källa:ilgiornale a.allegri

E’ un passaggio de “I mie ricordi” ed è stato scritto nel 1866,  ma descrive quella che sembra una costante antropologica, tipicamente italica, valida anche oggi. La falsa coscienza di chi è in grado di nascondere anche a se stesso le verità più evidenti e di partire lancia in resta una volta individuato il capro espiatorio più utile  a nascondere le proprie menzogne e le proprie piccole convenienze.

Attenzione

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Sono andato, tornato, ripartito.

Sono andato, tornato, ripartito.
E così ora sono qui, in un’altra fase della Vita. Abito vicino al ponte Västerbron, a forma di arpa. E’ bellissimo. La mia gratitudine è a scoppio molto ritardato. Faccio in tempo a dimenticare gli atti, i nomi e i volti prima di aver capito quando dovessi ad ognuno.