Esercizio di immaginazione: sono le cinque di un sabato
pomeriggio e siete nella capitale di uno dei più ricchi paesi occidentali. La
sera avete in programma una cena da amici, e volete portare una bottiglia di
vino. Per fare ciò, però, siete costretti a dirigervi nel retrobottega di un
negozio dove il losco proprietario tiene ammucchiate casse di alcolici
di ogni genere, che vende di contrabbando. Dopo aver girato tra gli
scatoloni, prendete una bottiglia di vino, pagate e uscite senza dare
nell’occhio. Domanda: dove vi trovate?
Avete risposto “nell’America ai tempi del proibizionismo”?
Può anche darsi. Ma è quello che potrebbe succedervi anche oggi stesso a
Stoccolma e in ogni altra città della Svezia.
Quello tra gli svedesi e l’alcool è sempre stato un rapporto
tormentato. Che i nordici bevano parecchio non è una novità, e proprio per
contrastare gli effetti del bere il Governo svedese decise, agli inizi del
‘900, di assumere il controllo capillare della distribuzione di bevande
alcoliche. Un monopolio che dura fino a oggi. In realtà, i supermercati
possono vendere “liberamente” birre e alcolici… A patto che non superino i 3,5°
di volume. Il che, come può facilmente capire chiunque non sia astemio,
significa non poter vendere nient’altro che birre annacquate.
Per acquistare bevande con una gradazione superiore, invece,
bisogna recarsi nei Systembolaget, supermercati aventi l’esclusiva
funzione di vendere alcolici e gestiti direttamente dallo Stato. E che, quindi,
vendono solo ciò che lo Stato decide di vendere, nei giorni e negli
orari in cui lo vuole vendere (non dopo le 15 di sabato né di domenica, per
esempio). I Systembolaget, inoltre, sono solo 418 in tutto il
territorio svedese (uno ogni 22.000 abitanti), in ottica evidentemente
dissuasiva. E sempre per disincentivare l’acquisto di alcolici al loro interno
sono vietate le pubblicità dei marchi e le offerte speciali.
Si aggiunge a tutto ciò, in un tristemente coerente pendant, un’elevatissima
pressione fiscale. L’aliquota sugli alcolici dipende dalla gradazione: la
vodka, per esempio, è tassata al 40%; il vino al 14%; la birra “solo” al 4.5%.
Ma non è finita: questa imposta si cumula all’applicazione della VAT
(l’equivalente dell’IVA), che è del 12% per le bevande con gradazione al di
sotto dei 3.5° e del 25% per quelli con gradazione superiore. Fino al 2007
era riservata al monopolio statale anche l’importazione di bevande alcoliche:
se un cittadino avesse voluto importare privatamente del vino italiano, avrebbe
dovuto rivolgersi alla Systembolaget (che tratteneva il 17%
del prezzo), finché una sentenza della Corte di Giustizia Europea ha dichiarato
la normativa in contrasto con il principio della libera circolazione
delle merci all’interno dell’UE.
La prima considerazione che mi sembra opportuno fare su questo
sistema proibizionista è di carattere psicologico: scoraggiare l’acquisto di
alcool con metodi repressivi, invece che educativi, alimenta la percezione
che si tratti di un prodotto eversivo, attirando così l’attenzione dei più
giovani, notoriamente attratti da comportamenti borderline che
li aiutino ad affermarsi ed emanciparsi. Con due ovvie conseguenze:
innanzitutto, potendo acquistare alcolici solo fino a una cert’ora e in un solo
luogo, la tendenza è quella di comprarne (e, di conseguenza, consumarne) più
del necessario. In secondo luogo tutte queste restrizioni, unite a prezzi così
elevati, favoriscono la formazione del mercato nero.
Gli effetti economici, poi, sono drammatici: il monopolio
statale annichilisce la concorrenza, sprecando enormi opportunità
imprenditoriali e sacrificando numerosi posti di lavoro potenziali. Come sempre
in questi casi a farne le spese sono soprattutto i consumatori, in
particolare quelli meno abbienti (che, tra l’altro, saranno istintivamente
portati a percepire l’alcool come un bene di lusso, e come tale ad esserne
attratti). Basta passare un weekend a Malmö per rendersi conto di quanti siano
gli svedesi che prendono il traghetto fino in Germania e tornano con la
macchina strapiena di scorte. E lo stesso accade ai confini con la Danimarca e
la Finlandia.
Si potrebbe pensare che, quanto meno, il consumo di alcool si sia ridotto grazie a queste politiche. E invece è aumentato del 30% dal 1995 al 2005, con una (seppur lieve) diminuzione negli ultimi 8-10 anni, cioè proprio da quando la Svezia ha aperto le frontiere all’importazione. Una coincidenza?
Si potrebbe pensare che, quanto meno, il consumo di alcool si sia ridotto grazie a queste politiche. E invece è aumentato del 30% dal 1995 al 2005, con una (seppur lieve) diminuzione negli ultimi 8-10 anni, cioè proprio da quando la Svezia ha aperto le frontiere all’importazione. Una coincidenza?
Piuttosto l’ennesima dimostrazione dell’assoluta inefficacia
dei sistemi monopolistici, in particolare laddove ci siano in ballo questioni
etiche. Il punto è che il consumo di alcool è connaturato alla società
occidentale, piaccia o meno. E l’unica strada per limitarne abusi e conseguenze
problematiche è di natura culturale: libertà e consapevolezza, unite,
possono fare molto più della repressione.
Evitando che gli svedesi si trovino costretti a dover trattare con l’Al Capone di turno per poter comprare una bottiglia di vino il sabato pomeriggio.
by: Giacomo Lev Mannheimer
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Evitando che gli svedesi si trovino costretti a dover trattare con l’Al Capone di turno per poter comprare una bottiglia di vino il sabato pomeriggio.
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