Edda Magnason nella parte di Monika Zetterlund nel film "Monica Z" |
Era il
1964, New York. Quando Bill Evans ricevette il nastro con quell'incisione,
rimase interdetto. Alzò il volume: squillava una voce femminile per convincerlo
a cedere, a dire di sì, a esibirsi insieme. Una donna per di più. Bella e
bionda che cantava il jazz: robe da pazzi. Il pianista, ormai all'apice del successo,
non amava più accompagnare cantanti. Perché abbassarsi a tanto? Il plico
arrivava dalla lontana Svezia... Evans ascoltò. Ed Evans cedette.
Nel giro di pochi mesi si ritrovò qui a Stoccolma con Monica Zetterlund per registrare l'album Waltz for Debby. Ormai un mito nell'epopea del jazz. La storia di Monica (il jazz ma anche i suoi brani più popolari, perfino la verve comica espressa nelle riviste recitate a teatro, gli svariati amori, la paura del palco, i segreti, l'alcool, i misteri) e la sua Stoccolma sono raccontati in un film, Monica Z, uscito in Svezia a settembre di tre anni fa. La Zetterlund è morta nel 2005 a 67 anni. Mai davvero dimenticata, «la sua è l'immagine di una donna geniale, intraprendente, simbolo di anni (Sessanta e Settanta) nei quali si voleva superare ogni confine, nel jazz e non solo – racconta Peter Birro, sceneggiatore del film, diretto da Per Fly –. Tutti sapevano pure che aveva avuto un'esistenza travagliata». Visse diversi anni con Vilgot Sjöman, regista, grande ammiratore di Ingmar Bergman (girò Sono curiosa nel '67, la storia del bislacco risveglio politico e sessuale di una giovane donna per le strade di Stoccolma). Ma Monica, in realtà, era fatta di un'altra pasta. Nata in un quartiere operaio nella dimenticata Hagfors, era una donna del popolo, «spavalda, con un umorismo molto diretto – ricorda Birro –, ma sapeva trasformarsi nella raffinata regina del jazz».
Nel giro di pochi mesi si ritrovò qui a Stoccolma con Monica Zetterlund per registrare l'album Waltz for Debby. Ormai un mito nell'epopea del jazz. La storia di Monica (il jazz ma anche i suoi brani più popolari, perfino la verve comica espressa nelle riviste recitate a teatro, gli svariati amori, la paura del palco, i segreti, l'alcool, i misteri) e la sua Stoccolma sono raccontati in un film, Monica Z, uscito in Svezia a settembre di tre anni fa. La Zetterlund è morta nel 2005 a 67 anni. Mai davvero dimenticata, «la sua è l'immagine di una donna geniale, intraprendente, simbolo di anni (Sessanta e Settanta) nei quali si voleva superare ogni confine, nel jazz e non solo – racconta Peter Birro, sceneggiatore del film, diretto da Per Fly –. Tutti sapevano pure che aveva avuto un'esistenza travagliata». Visse diversi anni con Vilgot Sjöman, regista, grande ammiratore di Ingmar Bergman (girò Sono curiosa nel '67, la storia del bislacco risveglio politico e sessuale di una giovane donna per le strade di Stoccolma). Ma Monica, in realtà, era fatta di un'altra pasta. Nata in un quartiere operaio nella dimenticata Hagfors, era una donna del popolo, «spavalda, con un umorismo molto diretto – ricorda Birro –, ma sapeva trasformarsi nella raffinata regina del jazz».
La sua vita artistica (e non solo) si divise fra due luoghi
simbolo della musica a Stoccolma. Che sono ancora lì, ai margini fra Norrmalm,
il quartiere degli affari e dello shoppjng, e Östermalm, con i palazzi
dell'alta borghesia, le guglie, i pinnacoli: pochi minuti a piedi dividono
Nalen, il locale dove Monica interpretava le soffuse melodie del Jazz. E il
Chinateatern, teatro del 1928, nella decorazione ispirato all'Oriente, dove
veniva fuori l'altra Monica, l'attrice delle riviste. Delle risate.
Spensierata.
Ragazza madre a 17 anni, la Zetterlund agli inizi era stata
operatrice telefonica nella sua provincia profonda. Canticchiava il jazz
americano senza neanche capire l'inglese. Il film racconta le contraddizioni
fra la sua anima ribelle e la voglia tradizionalista di essere amata e
apprezzata da un padre limitato e distante e di voler diventare per la figlia
Eva-Lena la madre perfetta, che non poté mai essere. Al tempo stesso cercò
sempre di rompere dei tabù. Nella sua prima tournée a New York si faceva
accompagnare da musicisti neri e il suo produttore le disse che doveva
sostituirli con dei bianchi: erano i tempi della segregazione razziale. Ma lei rifiutò. «Poi, in un mondo
maschile come quello del jazz, riuscì a farsi avanti e a imporre che si
cominciassero a cantare brani in svedese, perché lei voleva raccontare una
storia, immedesimarsi». Per tradurre i classici dall'inglese coinvolse Beppe
Wolgers, poeta e artista a tutto campo (anche l'attore che impersonerà il padre
di Pippi Calzelunghe nel noto sceneggiato).
Non è sorprendente una storia come quella della Zetterlund
nella lontana Svezia. Nel jazz il Paese ha una lunga tradizione. La neutralità
attiva di Stoccolma durante la Seconda guerra mondiale e dopo (e di conseguenza
una certa distanza dagli Stati Uniti) ridussero al minimo, rispetto al resto
dell'Europa, l'influenza del bop. Dallo swing si migrò impercettibilmente al
cool jazz. In quel filone riflessivo, rilassato si inserisce anche Jan
Johansson, che negli anni Sessanta volle conciliare il folk svedese con il jazz
(si veda l'album Jazz pa svenska), influenzando tutti quelli che verranno dopo,
fino ai giorni nostri, la melanconia, ad esempio, di Anders Jormin. La
particolarità di Monica? «Cantava lentamente, lasciava la musica e la melodia
andare avanti – precisa Birro –, per poi riprenderle con le parole». L'altro
suo contributo all'apertura della Svezia alla scena internazionale del jazz fu
la propria casa. Sembrava un
castello. È ancora lì, nel quartiere residenziale di Lidingö. Vi sono
state girate tante scene di Monica Z (dove una magnifica Edda Magnason
interpreta la Zetterlund). Fra gli anni Sessanta e Ottanta si sparse la voce
tra i grandi del jazz che, se fossero andati a suonare a Stoccolma, Monica li
avrebbe sicuramente accolti in quella sorta di palazzo modernista, con la sua
solita generosità. Il pianista
Steve Kuhn ci rimase qualche anno, una relazione amorosa travagliata, come
sempre.
I jazzisti più conosciuti si esibivano (oggi come allora) al Södra
Teatern, edificio ottocentesco, ai margini nord dell'isola di Södermalm, in
alto, davanti al luna park e a Gamla Stan, il centro storico. Al Södra, il 18
febbraio 1983, si tenne anche l'ultimo concerto in assoluto di Chet Baker e
Stan Getz: cantarono Just friends, anche se amici non lo erano per nulla, tanto
che alla fine della serata interruppero la tournée. Anche per quel memorabile,
storico concerto Stoccolma è diventata città simbolo del jazz. Monica Z termina il giorno del matrimonio della Zetterlund, nel 1974, con
Sture Åkerberg, contrabbassista, il vero amore della sua vita, anche se poi si
separeranno una decina di anni più tardi. Nel 2005 Monica morirà: ritrovarono il corpo carbonizzato nel suo
appartamento. L'incendio era stato provocato con ogni probabilità da una
sigaretta fumata a letto. Lei, da anni malata di scoliosi, si spostava sulla
sedia a rotelle: non era potuta fuggire. «Abbiamo voluto superare un'immagine
così brutta – conclude Birro – e ridarle quella di una donna bella, brillante,
quale era». Alla fine del film vola felice nel cielo di Stoccolma.
Lo
stesso di una sua canzone, SAKTA VI GÅ GENOM STAN , che significa «Lentamente
andiamo attraverso la città». È la storia di lei che passeggia con il suo lui
per Stoccolma, un giorno d'estate, tra quegli scorci di isole, antichi palazzi,
battelli che scivolano sull'acqua e che si intravedono anche nel film. Camminare con leggerezza, una sera
quando il sole rimbalza nel cielo e non tramonta mai.
Il teatro "Södra" |
La terrazza Evert Taube |
Källa:il sole
ventiquattrore per nonno Franco a Stoccolma
|
Il sole, niente di più. Monica amava quei tramonti infiniti.
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