“Canto di Natale”, il calore dell’amore incondizionato
di Katya Maugeri
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Neve, freddo, il fascino e il degrado della Londra del 1843,
in cui povertà, miseria, analfabetismo erano caratteristiche comuni. E chi se
non la penna di Dickens a narrare le vicende di quei “vinti” che portano con sé
un bagaglio di tristezza ma colmo di speranza? E quale libro se non il “Canto
di Natale” (A Christmas Carol), per racchiudere riflessioni, magia e sentimento?
I libri sono evocativi e in Il “Canto di Natale” di Dickens è uno dei suoi romanzi di
critica verso la società in cui viveva, nonché una delle storie più emozionanti
e famose sul Natale.
Il protagonista è l’avido Scrooge, – che in inglese significa tirchio, appunto
–Ebenezer Scrooge, vecchio finanziere che non crede alla magia del Natale, non
lascia spazio dentro sé per nessun gesto di carità, un cuore arido. Anche la
notte di Natale.
Il romanzo è suddiviso in cinque parti, e narra della conversione dell’uomo, al quale, durante la notte di Natale si presenta il fantasma del suo defunto amico/socio, Marley, attorniato da una catena forgiata di lucchetti, timbri, portamonete, assegni, e tutto quel materiale che lo ha distolto dal fare del bene al prossimo, spingendolo solo ad accumulare denaro e potere. Una vita all’insegna dell’egoismo che lo ha condannano a vagare con il “peso” di ciò che ha accumulato. Il fantasma informa l’amico dell’imminente visita di tre spiriti: lo spirito dei Natali passati, lo spirito del Natale presente e lo spirito dei futuri Natali, questi spiriti mostreranno a Scrooge la sua vita passata, presente e futura portandolo a conoscenza di quello che pensano di lui le persone con le quali si confronta giornalmente, facendogli notare sbagli, errori, superficialità nel giudicare le persone, i suoi atteggiamenti errati nei confronti della vita, dei conoscenti, degli estranei, l’assenza totale di umiltà e altruismo. A Scrooge viene mostrato il Natale di gente che – pur vivendo nella povertà – riesce a gioire delle piccole cose: un gruppo di minatori che intonano un canto di Natale attorno a un focolare, due guardiani di un faro che cantano e brindano, gente che prega e che rivolge i pensieri di pace ai propri cari. Scrooge, così, dopo la visita di questi spiriti, si ritrova nel suo letto. È la mattina di Natale.
Il romanzo è suddiviso in cinque parti, e narra della conversione dell’uomo, al quale, durante la notte di Natale si presenta il fantasma del suo defunto amico/socio, Marley, attorniato da una catena forgiata di lucchetti, timbri, portamonete, assegni, e tutto quel materiale che lo ha distolto dal fare del bene al prossimo, spingendolo solo ad accumulare denaro e potere. Una vita all’insegna dell’egoismo che lo ha condannano a vagare con il “peso” di ciò che ha accumulato. Il fantasma informa l’amico dell’imminente visita di tre spiriti: lo spirito dei Natali passati, lo spirito del Natale presente e lo spirito dei futuri Natali, questi spiriti mostreranno a Scrooge la sua vita passata, presente e futura portandolo a conoscenza di quello che pensano di lui le persone con le quali si confronta giornalmente, facendogli notare sbagli, errori, superficialità nel giudicare le persone, i suoi atteggiamenti errati nei confronti della vita, dei conoscenti, degli estranei, l’assenza totale di umiltà e altruismo. A Scrooge viene mostrato il Natale di gente che – pur vivendo nella povertà – riesce a gioire delle piccole cose: un gruppo di minatori che intonano un canto di Natale attorno a un focolare, due guardiani di un faro che cantano e brindano, gente che prega e che rivolge i pensieri di pace ai propri cari. Scrooge, così, dopo la visita di questi spiriti, si ritrova nel suo letto. È la mattina di Natale.
Quest’incontro cambierà il suo modo di approcciarsi alle persone, amplificherà
il modo di “sentire” l’animo delle persone, il loro silenzio, le loro urla, le
loro paure. Le loro speranze, spesso perse in quella nebbia, in quella Londra
dell‘800.
Il romando di Dickens è l’incontro tra la tradizione del romanzo gotico e il genere fiabesco, una storia allegorica che scava dentro l’anima del lettore trasmettendo speranza: chi vive nell’aridità e nell’avidità d’animo ha la possibilità di liberarsi delle catene rappresentate da elementi materiali e privi di amore, limiti caratterizzati dalle differenze sociali, orgoglio nei rapporti con il prossimo, aridità emotiva. Tutti possono migliorare, modificare il loro atteggiamento e alimentare il proprio spirito con valori nuovi, capaci di risanare i dolori dell’anima. Scrooge, che ha ricevuto pochissime attenzioni durante la sua infanzia non è in grado di custodire e alimentare quel poco che gli è stato dato e pone la sua attenzione sul denaro, il potere, l’avidità, cercando di colmare un vuoto che fa male.
Anche lui, però, riesce a cambiare. Riesce a vedere con gli occhi dell’innocenza – quella che lo spirito del Natale passato gli pone dinanzi agli occhi – ritrova la magia delle piccole cose, di quei gesti che arricchiscono l’animo: donare per sentirsi ricchi dentro.
Il protagonista del “Canto di Natale” riconoscerà i propri errori, l’egoismo che lo ha portato all’isolamento e alla perdita di persone che amava, cercherà di rimediare dando un senso più profondo alla propria vita.
Charles Dickens scrisse il “Canto di Natale” col desiderio di coinvolgere sia i grandi che i bambini, attraverso descrizioni commoventi, al fine di risvegliare sentimenti puri come l’amore e la tolleranza, il rispetto per gli altri e la capacità di apprezzare le piccole cose, non solo a Natale.
Il romando di Dickens è l’incontro tra la tradizione del romanzo gotico e il genere fiabesco, una storia allegorica che scava dentro l’anima del lettore trasmettendo speranza: chi vive nell’aridità e nell’avidità d’animo ha la possibilità di liberarsi delle catene rappresentate da elementi materiali e privi di amore, limiti caratterizzati dalle differenze sociali, orgoglio nei rapporti con il prossimo, aridità emotiva. Tutti possono migliorare, modificare il loro atteggiamento e alimentare il proprio spirito con valori nuovi, capaci di risanare i dolori dell’anima. Scrooge, che ha ricevuto pochissime attenzioni durante la sua infanzia non è in grado di custodire e alimentare quel poco che gli è stato dato e pone la sua attenzione sul denaro, il potere, l’avidità, cercando di colmare un vuoto che fa male.
Anche lui, però, riesce a cambiare. Riesce a vedere con gli occhi dell’innocenza – quella che lo spirito del Natale passato gli pone dinanzi agli occhi – ritrova la magia delle piccole cose, di quei gesti che arricchiscono l’animo: donare per sentirsi ricchi dentro.
Il protagonista del “Canto di Natale” riconoscerà i propri errori, l’egoismo che lo ha portato all’isolamento e alla perdita di persone che amava, cercherà di rimediare dando un senso più profondo alla propria vita.
Charles Dickens scrisse il “Canto di Natale” col desiderio di coinvolgere sia i grandi che i bambini, attraverso descrizioni commoventi, al fine di risvegliare sentimenti puri come l’amore e la tolleranza, il rispetto per gli altri e la capacità di apprezzare le piccole cose, non solo a Natale.
L’amore verso la propria famiglia, verso coloro che ci circondano, riconoscendo
anche nei piccoli gesti, quali un sorriso, la forma più preziosa dell’amore
incondizionato. Un libro ricco di emozioni, di magia, di riflessioni. Come in
ogni racconto di Dickens, si ritorna bambini leggendo quelle descrizioni così
dettagliate che inevitabilmente ci riportano a quella serenità quotidiana che
solo le piccole cose riescono a donare: il sorriso dei genitori, un abbraccio
confortante, l’odore della minestra calda, il calore dei gesti autentici che
non potrà mai essere acquistato col denaro.
Ognuno di noi ha incontrato quei fantasmi, non solo la notte
di Natale, ma tutte le volte in cui l’egoismo, l’orgoglio, la paura e il
menefreghismo hanno preso il sopravvento: fantasmi che portano catene dalle
quali non riusciamo a liberarci. Proprio come Scrooge, dovremmo imparare a
guardarli, seguirli, ascoltarli e vedere in cosa abbiamo realmente fallito,
emotivamente e umanamente. E realizzare che la vera ricchezza da custodire è
saper donare.