La storia del nostro Paese è ricca di retroscena e di
aneddoti destinati a fare scalpore: tra queste storie, diverse vengono
svelate o ricordate da Bruno Vespa nel suo nuovo libro, Italiani
volta gabbana. Dalla prima guerra mondiale alla Terza Repubblica, sempre sul
carro del vincitore.
Nel terzo capitolo di questo volume, Vespa parla di diversi intellettuali che si dichiararono antifascisti alla caduta del regime di Benito Mussolini, ma che prima stavano dalla parte del Duce: tra di loro ci sono nomi altisonanti, come Giuseppe Ungaretti o Dario Fo, o altri comunque ben noti, come Indro Montanelli o Enzo Biagi. Tutto nasce dalla rivista Primato, diretta da Giuseppe Bottai: il politico fascista più illuminato sul piano culturale, ma anche il più feroce sostenitore delle leggi razziali. La rivista nacque nel 1940 e chiuse il 25 luglio 1943, e furono tantissimi intellettuali a collaborare per questo giornale.
Nel terzo capitolo di questo volume, Vespa parla di diversi intellettuali che si dichiararono antifascisti alla caduta del regime di Benito Mussolini, ma che prima stavano dalla parte del Duce: tra di loro ci sono nomi altisonanti, come Giuseppe Ungaretti o Dario Fo, o altri comunque ben noti, come Indro Montanelli o Enzo Biagi. Tutto nasce dalla rivista Primato, diretta da Giuseppe Bottai: il politico fascista più illuminato sul piano culturale, ma anche il più feroce sostenitore delle leggi razziali. La rivista nacque nel 1940 e chiuse il 25 luglio 1943, e furono tantissimi intellettuali a collaborare per questo giornale.
Voltagabbana - "Fascista in eterno":
si definì così Ungaretti durante il regime. Il poeta notò che "tutti gli
italiani amano e venerano il loro Duce come un fratello maggiore", e
firmava appelli per sostenere Mussolini, salvo poi rinnegarlo dopo il 25
luglio 1943, quando firmò documenti contrari ai precedenti, tanto da meritarsi
una grande accoglienza a Mosca da parte di Nikita Kruscev. Stessa
parabola per Norberto Bobbio, che da studente si era iscritto al Guf
(l'organismo universitario fascista) e aveva mantenuto la tessera del partito,
indispensabile per insegnare. Il filosofo e senatore a vita, cercò
raccomandazioni per poter evitare problemi che gli derivavano da frequentazioni
"non sempre ortodosse", e il padre Luigi fu costretto a rivolgersi
allo stesso Mussolini. Bobbio ottenne la cattedra, mentre nel dopoguerra
diventò un emblema della sinistra riformista: il 12 giugno 1999, a Pietrangelo
Buttafuoco del quotidiano Il Foglio, il filosofo ammise: "Il
fascismo l'abbiamo rimosso perché ce ne vergognavamo. Io che ho vissuto
la gioventù fascista mi vergognavo di fronte a me stesso, a chi era stato in
prigione e a chi non era sopravvissuto".
Gli altri nomi - Indro Montanelli non ha mai
nascosto di essere stato fascista: "Non chiedo scusa a nessuno",
ribadiva sul Corriere della Sera. Stesso discorso per Enzo Biagi,
che nel dopoguerra ha sempre mantenuto gratitudine per Bottai. Eugenio
Scalfari, dopo il 1945, parlò di "quaranta milioni di fascisti che
scoprirono di essere antifascisti", senza celare mai le proprie ferme
convinzioni giovanili: anche lui, fino alla sua caduta, sostenne il fascismo e
la sua economia corporativa. Più difficile è stato negare la propria fede
fascista, da parte di Dario Fo, che a 18 anni si arruolò nel battaglione
Azzurro di Tradate (contraerea) e poi tra i paracadutisti del battaglione
Mazzarini della Repubblica Sociale Italiana. Nel 1977 Il Nord,
piccolo giornale di Borgomanero, raccontò quei trascorsi della vita di Fo:
l'attore querelò subito Il Nord, e al processo disse che l'arruolamento
era stato soltanto "un metodo di lotta partigiana". Le testimonianze,
invece, lo inchiodarono: la sentenza del tribunale di Varese, datata 7 marzo
1980, stabilì che "è perfettamente legittimo definire Dario Fo repubblichino
e rastrellatore di partigiani". Dario Fo non fece ricorso.
källa:Libero.it