Chiamiamola la Nuova Sindrome di Stoccolma. Che oggi vuol
dire essere volenterosi prigionieri del conformismo. Poiché la Svezia è la
grande madre del politicamente corretto, una sorta di Ikea del pensiero
omologato: lo disegna con quello stile pulito scandinavo che sa di betulla e di
democrazia, tu lo compri perché vuoi essere moderno e quindi sensibile ai
diritti di tutte le minoranze e al multiculturalismo, te lo monti facilmente a
casa tua e ti senti pronto per cantare in coro, come quando in macchina parte
Mamma Mia degli Abba, anche loro frutto di quel senso degli svedesi per il
commercio delle idee globalizzate - pensiamo solo come un Paese con il culto
morboso dello Stato sociale, morale ed egualitario è riuscito a vendere 50
milioni di copie di Pippi Calzelunghe , trasformando uno sgangherato esempio di
superbambinismo nietzscheano nel simbolo mondiale della pedagogia antisistema.
«Il più grande esportatore di vino spagnolo - dice la
scrittrice Ulrika Kärnborg mentre beviamo un impeccabile chardonnay in piazza
Hötorget, davanti al mercato coperto di Stoccolma - tempo fa mi ha spiegato che
per essere sicuri che un vino funzioni nel mondo deve funzionare prima in
Svezia, benchmark del consumatore medio globale. Questo è il Paese che assegna
il marchio di conformità, ai prodotti come alle idee politiche e sociali».
Insomma la Svezia la dà da bere a tutti. Prendete la questione del riconoscimento
dell'autoproclamato Stato palestinese che è improvvisamente entrata in agenda
nel Parlamento italiano con l'unico effetto di far deflagrare le divisione nel
Pd. Tutto parte dalla Svezia nel novembre scorso quando il neo governo di
centrosinistra di Stefen Lofven, eletto con un programma praticamente identico
a quello del centrodestra (tranne per qualche promessa di maggiori spese nel
welfare) riconoscendo la Palestina ha voluto subito marcare la propria
vocazione alla giustizia mondiale nel solco della tradizione terzomondista del
socialismo svedese e della buonanima di Olof Palme. «Vogliamo essere i primi,
creare un effetto a catena in Europa» ha detto la neoministra degli Esteri,
Margot Wallstrom. E così è stato: hanno approvato Francia, Belgio, Inghilterra,
Spagna
E naturalmente Strasburgo dove il Regno
di Svezia, meno di dieci milioni di abitanti, riesce sempre a vendere ai
parlamentari europei l'ultima novità che serve
per essere intellettualmente alla moda. «La
Palestina è la priorità del governo» ha
aggiunto, lasciandoci morire d'invidia per un Paese così lontano da priorità
terra-terra tipo Lampedusa. Ma la signora Wallström ha fatto subito capire il vero core
business del suo mandato, diventare «il laboratorio di una nuova società
femminista» in quanto rappresentante dell'unico Stato al mondo dotato di un
partito femminista (il quale ha addirittura conquistato un seggio europeo con
il 5,6 per cento dei voti) e soprattutto di un popolo che si definisce per
l'84,2 per cento femminista, con una percentuale del 73 per cento di uomini
«femministi»: «La nostra politica estera sarà la prima politica estera
femminista». Cosa vuol dire? le hanno chiesto. «Ad esempio contrastare la
Russia perché esprime violenza tipicamente maschilista».
Sembra una battuta, ma in Svezia, già riferimento obbligato
per la parità tra i sessi e per le conquiste ottenute dalle svedesi (pensiamo
solo ai 420 giorni di permesso di maternità e al boom, circa 80 per cento tra i
neobabbi, dei permessi di paternità), si sta procedendo a grandi passi verso il
femminismo di Stato. «Possiamo dire che oggi il femminismo svedese è una nuova
versione di antifascismo e di antirazzismo, insomma di comunismo» dice Maria
Sveland, giornalista d'assalto, autrice di libri come Hatet (Odio) e per questo
convocata qualche mese fa per una conversazione «tra donne» dalla nostra
ambasciatrice a Stoccolma, Elena Basile, ammirata da quella che definisce «una
visione intrigante». «Bisogna combattere il sessismo con ogni mezzo, disarmare
la violenza che c'è in ogni uomo» dice la Sveland passeggiando nel quartiere di
Mariatorget, il più engagé di Stoccolma. Porta una collana con la scritta
«Trust no men», non fidarti degli uomini.
La parità totale tra i sessi (mancherebbe ormai poco, ad
esempio negli stipendi c'è un gap di appena sette punti) non sembra più
l'obiettivo: la nuova frontiera è il superamento dei sessi e la creazione di un
nuovo genere umano, neutro. Time ha scritto che «questo è un Paese nel mezzo di
un inquietante esperimento di neutralità di genere. La Svezia vuole creare una
società oltre i sessi come li abbiamo conosciuti, il femminismo qui è diventato
una sorta di religione di Stato». Sono teorie elaborate nell'ultimo decennio
nelle università americane, recepite nei gender studies svedesi e soprattutto
dall'università di Uppsala (già famosa per gli esperimenti di eugenetica negli
anni Venti, adottati poi dai nazisti, e per i programmi di sterilizzazione
forzata cui vennero sottoposte 63mila persone fino al 1975, quindi in piena
socialdemocrazia): l'ateneo ha formulato la gender neutrality con cui
aggiornare l'immagine politica del Paese e i manuali di pedagogia.
In una viuzza della città medievale si trova Egalia, la
scuola elementare che simbolizza l'esperimento svedese di rottura definitiva
del concetto maschio-femmina: qui non si usano più le parole bambino e bambina,
la scolaresca è vestita in modo neutro, il taglio dei capelli è neutro, l'unico
pronome usato è il neutro - non più Han (lui) o Hon (lei), ma Hen -
un'invenzione linguistica che sta dilagando nei media nazionali. I libri a
Egalia, ma anche alla biblioteca nazionale, nella sezione infanzia raccontano
ad esempio storie di bambini che comprano il papà in negozio o di animali gay.
«Stiamo lavorando insieme con le scuole di Reggio Emilia e Modena che intendono
adottare il nostro sistema» informa la direttrice, Lotta Rajalin.
«La Svezia è in nostro futuro» dice Christine Ingebritsen,
docente di studi scandinavi all'Università di Washington: «È un nuovo
umanesimo. Abbattono gli ultimi stereotipi, nel comportamento e nel
linguaggio». Invece, secondo Henrik Berggren, storico e politologo «la Svezia è
una eccezione nel mondo proprio perché non esiste un Paese più conformista.
Mentre negli Stati Uniti il confronto e il dibattito sono aspri, pensiamo solo
a voci come la Fox , qui nessuno osa obiettare l'opinione dominante soprattutto
se ha il timbro dello Stato. Una anomalia che viene da duecento anni di pace e
dal retaggio protestante».
källa: il giornale/Marzio G. Mian |