C’era il “peccato svedese” e c’era la socialdemocrazia. In
poco più di vent’anni la Svezia è diventata un piccolo museo degli orrori,
gettando alle ortiche un modello guardato con ammirazione in tutto il mondo. In molti paesi la caduta del Muro di Berlino ha determinato
grandi cambiamenti e lo stesso è stato per la Svezia, tanto che una rivista
della destra americana come l’ American Spectator nel settembre scorso scriveva
con soddisfazione che ” La Svezia ha silenziosamente trasformato la
socialdemocrazia in un pezzo da museo”. E non solo la socialdemocrazia
verrebbe da dire ad osservare quanto è come è cambiato il paese negli ultimi
venti anni. Agli svedesi i politici e i commentatori americani guardano
con interesse e con invidia per quello che riguarda la ripresa econmica e per
l’approccio a questioni quali il contrasto alla droga e alla prostituzione.
Un entusiasta Washington Post un anno fa presentava il paese
come la “rockstar della ripresa” per via della crescita economica registrata,
tra le più alte al mondo tra paesi sviluppati. Ovviamente trarre
conclusioni e ricette dall’esperienza di un paese di dieci milioni di abitanti
e applicarle a uno di trecento è un esercizio che spesso lascia il tempo che
trova, ma è evidente l’interesse di buona parte dell’élite statunitense nel
ricercare modelli neoliberisti di successo da riproporre nonostante il plateale
fallimento culminato con la grande crisi economica.
Gli svedesi hanno superato relativamente bene la crisi del
2008, sia perché avevano adottato una politica, anche bancaria, più prudente
dopo il crash del 1990, anno in cui l’inflazione toccò punte del 500% e
il paese sembrò sul punto d’esplodere, sia perché robuste iniezioni di dollari
da parte della Federal Reserve mantennero in vita le banche svedesi,
strangolate dalla fuga dalla moneta nazionale verso valute più sicure. Anche la
Svezia è intervenuta per salvare le sue banche e se oggi ha un rapporto
debito/PIL del 45%, è anche vero che la Riksbank, la banca centrale svedese,
controlla società che rappresentano più del 25% dello stesso PIL. Non
esattamente il paradiso del liberismo, ma gli americani apprezzano l’intervento
statale nell’economia quando serve a metterci una pezza.
La transizione dalla socialdemocrazia a quella cosa che c’è
oggi, e che nessuno sente la necessità di nominare o identificare, è cominciata
con la caduta dell’impero sovietico, allorché i socialdemocratici svedesi hanno
imboccato l’equivalente locale della “terza via” di Blair ovvero l’adesione
quasi incondizionata della sinistra europea al modello liberista. Quanto sia
costata la transizione lo si ricava facilmente da un recente rapporto del
parlamento svedese, che ha concluso che “Una volta sommati i contributi erogati
per malattia, disoccupazione e infortuni sul lavoro, il livello massimo
raggiunto nel 2010 era solo la metà del livello relativo disponibile nel 1975.
Il paese un tempo egalitario oggi ha “il più rapido incremento della
diseguaglianza tra i 34 paesi OECD negli ultimi 15 anni”, come ha riportato
Reuter in marzo, notando che continua a crescere a una velocità quattro volte
superiore a quanto non faccia negli Stati Uniti. Per qualche americano
rappresenterà un modello, ma gli svedesi e gli americani in generale hanno
pochi motivi per goderne.
Gli svedesi hanno infatti registrato un rapido degradarsi
dei servizi sociali, presi a tenaglia tra il taglio del 50% dei fondi e la
distrazione di parte del rimanente in direzione di discutibili politiche
repressive. Tanto che per gli svedesi ora sono normali le storie di malasanità
all’italiana: le ambulanze chiamate e mai arrivate e gli “errori” medici
strappano i titoli come da noi e i tagli alla spesa sociale hanno prodotto
comportamenti impensabili, tanto che sono arrivati persino a disporre la
pesatura dei pannoloni usati dagli anziani incontinenti per evitare lo spreco
di cambiarli quando ancora possono incamerare urina. Sussidi e servizi hanno
seguito lo stesso destino, che non ha risparmiato neppure l’istruzione. Allo svanire di una proposta e di una cultura di sinistra,
ha fatto seguito il dilagare di risposte di destra ai problemi del paese e un
sostanziale consociativismo dei socialdemocratici di un tempo con i
conservatori, che ha avuto effetti notevolissimi sia sulla politica interna che
su quella estera del paese. Il paese un tempo neutrale, non allineato e
paladino dei diritti umani sembra aver dimenticato quel passato ed è passato a
un atteggiamento in politica estera allineato al blocco occidentale e non solo
perché con l’ingresso nell’Unione Europea è entrato a far parte anche del
sistema di difesa comune. Tanto bene si è integrato nel nuovo corso che, come
ha dimostrato lo scoppio di un recente scandalo, sia i governi
socialdemocratici che quelli conservatori hanno agito in frode alla legge
svedese sottoscrivendo un accordo per la costruzione di un’enorme fabbrica di
missili e artiglierie in Arabia Saudita, vietatissimo dalla legge che proibisce
affari del genere con i paesi che non rispettano i diritti umani. Per
conseguire lo scopo hanno ovviamente tenuto segreto l’accordo, evitando di
comunicarlo anche alle istituzioni di controllo e da quando si è scoperto
l’inghippo sono rimasti senza parole in attesa che il tempo lenisca le
conseguenze di questo inconveniente.
Agli svedesi è rimasta un’economia fondata sulla cogestione
dei conflitti tra sindacati e imprenditori che non ha avuto lo stesso successo
di quella tedesca, tanto che molte delle principali industrie nazionali sono
fallite ripetutamente e hanno potuto sopravvivere solo grazie all’intervento
pubblico a scongiurarne la sparizione. Un’economia che viaggia sempre di più
verso i confini del neoliberismo senza dar cenni di volersi arrestare e una
“crescita” teorica a spese dei cittadini delle fasce più deboli e sempre più
numerose. Ai problemi degli svedesi che scivolano verso la povertà nessuno tra
i governanti è stato ovviamente in grado di dare risposte soddisfacenti ed ecco
allora che anche Svezia si è assistito al dilagare dell’uso degli stranieri e
delle minoranze più o meno devianti come capri espiatori e al risorgere
dell’estrema destra. Non è un caso che l’autore di una recente serie di omicidi
nella città di Malmö sia andato a caccia di “musulmani” da abbattere e al
contempo fosse convinto che “gli ebrei” fossero gli autori degli attacchi alle
Twin Towers. Tanto che c’è da registrare anche come il capo dell’Office to
Monitor and Combat Anti-Semitism dell’amministrazione Obama, Hannah Rosenthal,
sia stata inviata nel paese per discutere quelli che sono stati descritti come
i “ripetuti commenti antisemiti del sindaco socialdemocratico di Malmö“.
Non è più la Svezia di una volta e ancora meno la ricorda,
se si osserva la filosofia che ha portato al cambiamento delle politiche nei
confronti della droga e della prostituzione. Anche questi indicati a modello e
non solo negli Stati Uniti. Cambiamenti drastici, ma ancora incerti nei
risultati, anche se c’è stato chi ne ha già decretato il successo, pur in
mancanza dei numeri sui quali fondare il giudizio, che gli svedesi stanno
ancora radunando. L’approccio alla droga è quello della cara vecchia Tolleranza
Zero modulata alla svedese: “L’obbiettivo della politica svedese contro sulla
droga deve continuare a essere quello di una società libera dalle droghe“, c’è
scritto nella legge, nientemeno. Gli assuntori di sostanze stupefacenti sono
puniti e viene offerta loro la disintossicazione e assistenza in cambio della
remissione della pena. La polizia prende sul serio la questione e può fermare
le persone che “sembrano” drogate, perquisirle e imporre loro un test, i
test sono usati estesamente anche nell’accesso al lavoro, Non sembra che tanta
determinazione e impegno diano grandi frutti, anche perché il consumo di
sostanze psicoattive in Svezia è atipico rispetto all’Europa, essendo dominato
dalle metamfetamine e ovviamente dall’alcol. Basta e avanza però per provare a
rivendere agli americani la fallimentare war on drugs con una spruzzata di
servizi sociali a rifarne il look. Non meno drastica l’evoluzione delle leggi che
regolano i rapporti sessuali, guidata da un’evoluzione del femminismo svedese
che si è guadagnata la definizione di “saudita” per alcuni
evidenti eccessi, in particolare nell’estendere l’ambito dei reati sessuali con
l’occhio puntato alla protezione della donna e molto distratto dalla realtà
circostante. Un’azione che ha portato la Svezia a superare persino i paesi nei
quali le violenze sessuali sono una piaga, nella percentuale delle denunce per
stupro. Una deriva della quale è stato vittima anche Julian Assange, denunciato
per stupro da una sua partner che lo accusa di aver voluto far sesso senza il
profilattico. Non che accusi Assange di averla costretta, ma il fatto che
secondo lei Assange abbia resistito alla sua richiesta di usarlo, è già stupro
per la legge svedese, poco importa se nessuno in nessun modo ha impedito alla
donna di negarsi a quelle condizioni.
Lo stesso interesse per la “protezione della donna” ha dato
vita a una legge contro la prostituzione originale quanto ammirata pur se i
risultati, anche in questo caso, sono ancora da soppesare. L’idea centrale è
che la donna che si prostituisce lo fa perché vittima di un modello di società
dominata dal maschio e che quindi è il maschio che bisogna punire. Ne consegue
che la prostituta non commette reato, ma il cliente sì ed è equiparato ai
“trafficanti di carne umana” che alimenterebbero il fenomeno secondo la vulgata
svedese, che vede solo schiave, schiavi e schiavisti. Come nel caso della legge
sulla droga, la polizia ha ampia libertà d’intervento per salvare le prostitute
dai loro sfruttatori/clienti, non solo dai classici sfruttatori che commerciano
in carne umana. La cosa si è spinta fino al punto che la polizia interviene
nelle camere da letto dove sospetta si stia consumando lo sfruttamento ed è
accaduto speso che la natura criminale dell’accusa abbia già provocato rumorosi
scandali, che hanno visto protagonisti anche numerosi giudici, tra i quali
anche un membro della corte suprema. Ovviamente la prostituzione non è sparita
in Svezia, anche se al colmo del parossismo c’è stato chi propose di boicottare
i mondiali di calcio in Germania perché avrebbero ospitato anche legioni di
prostitute e di tifosi/sfruttatori impegnati a degradare le loro dignità di
esseri umani. Una donna che decida liberamente di prostituirsi non lo può fare
senza rischiare di mandare i clienti in galera. A lei lo stato svedese offre
incentivi e modesti sussidi (quando ci sono) perché non sia costretta a
prostituirsi spinta dalla necessità, l’idea che si possa trattare di una libera
scelta e come tale sia praticabile liberamente non è contemplata e, dato la
formulazione neutra della legge, questa si estende anche ai casi di
prostituzione che vedono protagonisti transessuali, omosessuali e
professionisti pour elle. Non si tratta quindi di una posizione venata di
conservatorismo o da motivazioni religiose, quanto di un “neo-moralismo” che ha
sfondato anche tra i conservatori e che è giunto persino a mettere la nudità
sotto accusa, tanto che sono stati montati scandali anche per poster con uomini
a torso nudo e ci sono più di 500 alberghi in Svezia che boicottano
pubblicamente i film porno, il tutto in nome della battaglia contro la
mercificazione e lo sfruttamento dei corpi. Addio torbido “peccato
svedese” e addio liberazione sessuale, adesso bisogna fare molta
attenzione a una serie di regole tutte nuove e tutte estremamente limitanti.
Quella che un tempo era l’avanzata Svezia, ha qualche problema con le sue
radici calviniste che ritornano a soffocare gli svedesi dopo che si erano
liberati dei retaggi più imbarazzanti del loro passato. Uno dei più pesanti è
la politica di sterilizzazione forzata organizzata e condotta dai governi
svedesi di ogni colore, che dal 1935 al 1975 hanno sterilizzato almeno 62.000
donne svedesi colpevoli d’inquinare la razza perché disabili o semplicemente
povere a giudizio del sistema istituito a presiedere la pratica, che ha visto
vittime anche le orfane, sterilizzate prima essere liberate per la sopraggiunta
maggiore età e le abortenti povere. Una pratica abolita nel 1976, non prima di
aver piazzato la Svezia al secondo posto per numero di donne sterilizzate nella
storia dopo la Germania nazista, con il governo che solo di recente ha proposto
un risarcimento equivalente a 21.000 dollari per la mutilazione, ma poi non se
n’è fatto niente.
Vittime di questa legge continuano ad essere i transessuali,
perché ai legislatori che nel 1972 riconobbero i cambiamenti di sesso parve
perfettamente normale che potesse essere concesso solo a quanti si
dimostrassero sterili, rimuovendo o compromettendo quindi l’apparato genitale.
Una scelta che non tutti i transessuali abbracciano, proprio per non
precludersi la genitorialità e anche per la sua natura irreversibile e
traumatica. Sparita la legge eugenetica è rimasta la condizione infamante e
unica e così buona parte dei transessuali svedesi è costretta a vivere con
documenti di un altro sesso e ovviamente ad affrontare i conseguenti fastidi.
Anche questo è un problema che si cerca di risolvere da tempo, ma anche in
questo caso ci devono essere forze potenti che remano contro, tanto che una
pronuncia in senso contrario e recentissima, nel gennaio 2012 diversi
parlamentari di diversi partiti hanno dichiarato che si oppongono
all’abolizione della condizione. Spietati.
Källa: Mazzetta
“Ce la possiamo fare”
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